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lunedì 6 febbraio 2012

Sheqel Grani di Poesia: Anna Ruotolo

Ó a cura di Stefano di Stasio. ® la riproduzione è riservata.


La nostra rubrica Sheqel apre il secondo numero dando il benvenuto a Anna Ruotolo. Si tratta di una autrice che, nonostante la giovane età, è già presente con due volumi nel panorama editoriale. Come da copione, le abbiamo chiesto di selezionare due poesie. Ci propone "Tuttitudine" e "I singolari sono plurali" che riportiamo qui di seguito. Ciò che accomuna le due liriche è un sentire vivo, quasi materiale, della condizione di solitudine. Con lei cercheremo di discutere in breve della dimensione delle contingenze in relazione al sentire, della percezione del tempo e delle presenze lontane nonché delle prospettive di chi, scrivendo di poesia, si accinge a trasferire le proprie liriche in una lingua diversa dalla lingua madre. La biografia che ci ha inviato è in fondo all’articolo.


--Buongiorno Anna. Comincerei a introdurre la sua poesia "Tuttitudine":

Tuttitudine

In sogno lanciavamo in cielo la paura,
"prendila Tu, Padre degli astri
e delle cortine fluorescenti di gas
".
Così Simone il cieco ballò senza
tastare l’universo con le mani
e Zita parlò senza capire.
Stringere le nostre gabbie toraciche
perché tenessero (e, oh sì, tenevano)
l’un l’altro, l’uno all’altra, l’una all’altro
finché non rischiarava il giorno dopo
e la grancassa dell’oceano
non ci accompagnava.

E la mattina dopo aveva la riserva
del dolore di pancia
"Tuttitudine…", ha detto il medico curante
— il musicista che la notte prima
aveva agganciato il fuoco alle dita,
la sua culla/pancia a quella di una donna
vedova di Solitudine —
"…primo fiore della felicità".

(da "Tuttitudine" in La generazione entrante – Poeti nati negli Anni Ottanta, Ladolfi editore 2011)


--"Tuttitudine" a prima vista sembra un neologismo fra "Tutti" e "Solitudine". Siamo soli, è questa l’angoscia che lei esprime in questo componimento? O al contrario la solitudine è condizione di gioia interiore, "primo fiore della felicità"?  

Buongiorno, Stefano. Tuttitudine è il mio personale contrario di "solitudine", sì. Nella lingua italiana il contrario di "solitudine" è "compagnia", ma mi ero soffermata a riflettere sul fatto che il concetto di compagnia rimanda, comunque, ad una moltitudine ristretta, una pluralità con dei limiti. Se questa pluralità integra, invece, tutti e proprio tutti allora non ci si può dimenticare di nessuno. Non volevo contrapporre una situazione negativa di solitudine ad una, auspicabile, di folla positiva e condivisione. La solitudine è necessaria, aiuta a conoscersi. Il successivo e altrettanto necessario passaggio, però, vuole suggerire che solo in compagnia si possono raggiungere e esplorare determinati territori. Il "primo fiore della felicità" è la tuttitudine, nel momento esatto in cui la si riconosce, la si prova.


--Nel suo componimento "E questa è casa mia e qui comando io" lei si esprime così:
"… quando avrò un divano mio, una caffettiera tutta mia, / la miscela di caffè che preferisco io, / un servizio di piatti tutto mio e quando avrò il mio campanello / e la mia cassetta per la posta, le mie orchidee sulla finestra, / quando le bollette dovrò pagarle io e le tasse arriveranno a me…".
Non crede che il progetto di vita di un giovane nella società della dittatura finanziaria possa essere seriamente compromesso? Quale prospettiva esiste secondo lei per l’autonomia dell’intelletto in una contingenza che si può definire critica, per usare un eufemismo?


Se volessimo leggere questo passaggio alla luce della situazione storica, sociale ed economica attuale italiana, non potrebbe che essere visto e inteso come un gioco alla proiezione, una situazione ipotetica e nulla più. Ma queste previsioni sono state scritte come se fossero un tempo distante, sì, ma certamente avverabile. In poesia l'ipotesi può diventare certezza forse perché qui ti è richiesto coraggio nel dire ciò che pensi, ciò che ti auguri accada. So che dire e augurarsi è una cosa e vedere accadere è ben altro. Non posso non dirmi preoccupata per tutto ciò che sentiamo dai nostri "custodi" e per quanto la vita di ognuno sia cambiata nel giro di pochi anni. Tuttavia smettere di progettare, costruirsi, avere un motivo per autodeterminarsi sarebbe una lenta morte. L'autonomia dell'intelletto, invece, si può conservare sempre e comunque. Non c'è situazione critica che tenga.


--Nella stessa poesia lei ammonisce:
"...i senza senno che verranno a casa mia / a ridurre in mortificazione e poco conto / ciò che di buono mi passa per la testa (fosse anche nuvola o tempesta)..." e continua "...saranno messi con educazione alla porta, / invitati a dire sempre le notizie con la semplicità dell'alfabeto, / - minimo e vitale - / a rispettare il tempo degli altri...".
Chi o che cosa vorrebbe che non bussasse mai alla sua porta?

Guardi, ha pescato nel web una poesia (volutamente piena, a volte esagerata) nata (per scherzo ma poi gradita da chi ha potuto leggerla), cresciuta e compiuta da/in un episodio autobiografico per niente rielaborato nel passaggio dal pensiero allo scritto. Per risponderle, purtroppo, le tocca ascoltare l’antefatto. Era la vigilia di Natale, primissimo pomeriggio, io e la mia famiglia, in tuta e ciabatte, consumavamo un pranzo frugale e intanto rassettavamo casa (veramente in disordine) e preparavamo gli ultimi pacchetti. Una normale situazione di una normale famiglia italiana alle prese con i preparativi del tradizionale cenone e in attesa della tanto agognata visita dei propri cari, insomma. Quel giorno, senza preavviso, sono venuti a casa due conoscenti per farci gli auguri. Potevano solo a quell’ora, tra un concerto e una recita dei bimbi, l’ultimo shopping sfrenato e la cena dal magistrato; avevano incastrato tutto per bene e noi eravamo riusciti a conquistarci un piccolo spazio in mezzo alle loro cose più importanti, tanto da non doverci preoccupare del disordine, del loro piombarci in casa senza che avessimo ricevuto neppure una telefonata e della nostra mise poco consona. Tanto più perché se non in quel momento non avremmo potuto godere affatto della loro presenza. Le risparmio i discorsi fatti davanti al caffè. Be’, ecco, queste persone vorrei non bussassero alla mia porta. A meno che non decidano, almeno, di avvertire (nella poesia lo dico). È che io vivo ancora con i miei…


--Veniamo alla seconda opera che ci propone "I singolari sono plurali":

I singolari sono plurali
 
[…] di nuovo dicendo anche per le ultime
volte c’è un’ultima volta […]
Samuel Beckett

Sì, tutto con eccesso:
la luce, la vita, il mare!
Plurale tutto, plurale
luci vite e mari.
Pedro Salinas
I singolari sono plurali
dico casa e ne dico mille
perché se guardo fuori da qui
tante ce ne sono,
pulsano da non finire.
Il numero è la convenzione
che ci siamo dati prima di farci
spazio attorno, di vederci andare.
Se parlo al singolare fa meno male
il solo, la solitudine che fuma
di tetto in tetto, unica unità
che ci distingue ombra dalle ombre,
acqua dalle acque.
E a tutta questa storia sembra venire
in più uno straniero che non ti porta
in tasca (perché non ne ha nemmeno
una — se due non ne può avere —)
tu non gli sei neppure famigliare
in una stampa, una fotografia
così come lo sei per me
ma chiama, chiama tutti
con centomila nomi esatti
si esce, così, infine, dalle dimore
e camminiamo in stormi
si prova a fare bene
tutto e forte, tutto al plurale
per una volta tra le altre volte
.

(Anna Ruotolo)



--Ritorna il tema della solitudine "che ci distingue ombra dalle ombre, / acqua dalle acque…". L’immagine che lei evoca sembra esprimere un anelito di speranza " si esce, così, infine, dalle dimore / e camminiamo in stormi / si prova a fare bene / tutto e forte, tutto al plurale / per una volta tra le altre volte…". Eppure la citazione che fa di Beckett tratta da "Cascando" sembra un inno all’ansia di relazione. Infatti si conclude:
" …di nuovo atterrito / di non amare / di amare e non te / di essere amato e non da te / di sapere di non sapere di fingere / fingere / io e tutti gli altri che ti ameranno / se ti amano. / A meno che ti amino."
E dunque che cosa significano gli altri, ansia o speranza ?


"Cascando" è una meravigliosa poesia che contiene passaggi anche veloci, un procedere largo e pieno, una somma di situazioni che necessitano di una lettura lunga, anche ripetuta. Sebbene la parte che lei riporta sia di un fascino indiscutibile, io riflettevo su quella che ho citato, invece, e che dice: […] di nuovo dicendo anche per le ultime /volte c'è un'ultima volta […]". Stando a quanto citato, gli altri sono speranza. Magari quell’ultima speranza positiva, quella "buona volta" da cogliere al volo prima che svanisca per sempre.


--Nella sua lirica Anghelos lei scrive:
"…che quasi mi dormi accanto / è scritto nel rumore della pioggia / nel tremito aguzzo delle acque…"
Ci può parlare di questa materia e di queste sensazioni che descrivono il suo rapporto con questa entità metafisica?


L’anghelos di questa poesia è l’ombra familiare di una persona reale, esistente, ma lontana. Nel ricordo dinamico di questa figura e poi nella convinzione che le lontananze non servono solo a distruggere ma anche a conservare intatto un sentimento profondo, cresce in noi il bene-comunque, l’affetto-nonostante.
 
 
--Quali sono i suoi lavori o le sue Sillogi che ritiene in senso lato più universali?

Le poesie aperte a una dimensione plurale. La silloge "Tuttitudine" pubblicata in "La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta" (Ladolfi editore, 2011 – a cura di Matteo Fantuzzi e con una prefazione di Maria Grazia Calandrone) può andare bene come esempio.
 
 
--Nella sua biografia è scritto che alcune sue liriche sono tradotte in inglese e spagnolo. Come affronta il problema della traduzione delle sue liriche in un’altra lingua?

Alcune poesie sono state tradotte in spagnolo, altre pubblicate (in italiano) in una bella rivista italo-newyorkese, Italian Poetry Review, accanto a testi di poeti italo-americani, dunque in lingua inglese. Le mie, per ora, trovano solo il favore dello spagnolo e la generosità e l’intelligenza ispirata di Jesús Belotto, un mio coetaneo che scrive (ha pubblicato una bella plaquette, in Spagna), traduce e ha già insegnato all’Università di Montpellier e ora in quella di Alicante. Una persona straordinaria. Non ho mai vissuto la traduzione delle mie poesie in un’altra lingua come un problema. Negli ultimi tempi Jesús sta traducendo per me altri scritti ed è sempre un reciproco arricchimento, un modo per imparare l’una dall’altro e viceversa, per allargare i significati. In più, credo che le mie poesie suonino benissimo in lingua spagnola!


BIOGRAFIA di Anna Ruotolo
Anna Ruotolo (1985) vive in provincia di Caserta. Suoi testi sono apparsi in varie riviste (tra cui "Poesia" di Crocetti e "Italian Poetry Review") e in blog e riviste online. È presente in varie antologie poetiche. Tra le altre si segnala: "La generazione entrante. Poeti nati negli Anni Ottanta" (Ladolfi editore, Borgomanero, 2011 – a cura di Matteo Fantuzzi e con una prefazione di Maria Grazia Calandrone). "Secondi luce" (LietoColle, Faloppio 2009) è la sua opera prima. È in uscita, per i tipi di Raffaelli, un suo nuovo lavoro, "Dei settantaquattro modi di chiamarti".
 
 
Ò Articolo realizzato da Stefano di Stasio il 3 e 5 Febbraio 2012. Ogni riproduzione è riservata