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lunedì 15 agosto 2016

Nuovo record di accessi, ieri sabato 10 Settembre, al racconto+foto+soundtrack

"RèG 8.  Il tempio degli esseri viventi":


GRAZIE! Obrigado


Il calice di Iskur etnologia della vite e del vino

EDITORIALE
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RèG  15.  ITALIAN GYPSIES


Aeroporto di Gatwick. Tabellone delle partenze. Gate available at 17:45. Un rapido conto. L’aereo partiva alle 18:25. Le porte di accesso all’imbarco aereo erano piu’ di cento.
C’era un cartello in alto. A seconda del numero della gate veniva indicato il tempo necessario al viaggiatore per raggiungerla a piedi. Un tempo di percorrenza di 10-15 minuti a partire dal salone principale. Bisognava pensarla bene. Avevo un bagaglio a mano pesante. Decisi allora di aspettare nei pressi del tabellone posizionato ad un estremo dell’immenso salone di attesa. Avevo notato un papa’ che giocava con la figlia, una bambina di circa un anno. La bambina stava imparando a camminare e perciò spesso cadeva sulla moquette dell’aeroporto. Il padre la seguiva attento e cercava di insegnarle qualche parola. Seduto su una poltroncina c’era il fratellino della bimba di circa tre anni più grande. L’uomo se la cavava benissimo in questo menage, forse accudiva da solo i bambini. Poi all’improvviso la scoperta. Da uno dei negozi del salone spuntò una donna e chiamò. Era la mamma dei bambini. Cercava disperatamente di risolvere il suo problema del momento. Stava provando dei cappelli di paglia a falda larga. Voleva l'opinione del marito su quale scegliere. Chiamava da lontano e a intermittenza cambiava il cappello che indossava. Il marito non si scomodo’ e le grido’ «Take the smaller ! » continuando a giocare con la figlia.
Mentre aspettavo le fatidiche 17:45 mi guardavo intorno.
«Ciaaooo! » sentii alle mie spalle. C’era una donna matura con accento romano che aveva ricevuto una telefonata. Era in partenza da Londra e una sua amica con la quale si era intrattenuta, evidentemente rimasta a Londra, la chiamava per sapere come stava.
La tizia parlava a telefono con foga. Ringraziava la sua amica perché le aveva fatto dei bellissimi regali. Agenda, penne, rubrica. Ora le veniva da piangere pensando di dover lasciare Londra. Poi all’improvviso si era confidata a voce alta con l’amica: «C’era qui seduto un signore che parlava italiano. Il fatto di sentir parlare italiano mi ha fatto subito stare male…»
A quel punto mi rigirai sulla sedia e dissi a me stesso «Attento a non farti scappare nemmeno una parola».
La tizia continuo’ con la sua seduta di psicoanalisi a voce alta:
«Perché non dobbiamo scoraggiarci…abbiamo fatto tutto questo per che cosa…e poi molliamo adesso?».
 «Perché se lo decidiamo noi nessuno ci può fermare, si vive una volta sola»
Continuava ad urlare nel telefono i suoi incoraggiamenti a sé e all’amica. Alla fine, mio malgrado, compresi che l’amica stava traslocando. Ma c’era dell’altro. La donna che parlava, seduta dietro di me, aveva un problema molto serio. Aveva perso il lavoro in Italia.
«Non dobbiamo farci impressionare da nessuno, e se poi ti licenziano, chi se ne frega»
Continuava a sfogarsi come un fiume in piena
«E poi…c’è sempre Londra».
Era stata licenziata ed era venuta a trovare l’amica in Inghilterra. Forse aveva trovato anche un lavoro temporaneo mentre stava a Londra. Ora tornava in Italia, diceva che andava a stare dai suoi genitori. Mi sentii profondamente ferito.
Avevo osservato la signora inglese pochi minuti prima. Sembrava di ceto medio, niente di particolarmente sfarzoso nei modi e negli abiti. Indossava i cappelli mentre il marito accudiva i suoi bambini. Era più giovane di questa donna Italiana accanto a me, ma aveva potuto avere una famiglia, dei figli. Poteva addirittura viaggiare con i suoi bambini.
Invece la mia vicina, questa donna Italiana, non aveva potuto. Non aveva una famiglia sua, forse non aveva nemmeno un uomo. Ringraziava mille volte l’amica londinese per  i regali ricevuti, primo fra tutti quello di averle ridato la speranza e, con essa, la dignità. Di averle fatto capire che poteva farcela. Aveva appena tirato fiato e già si rituffava nella fossa dei leoni. Tornava in Italia. Nel paese dove l’assurdo diventava diritto, dove la legge  non valeva niente. Dove era stata licenziata, forse dopo anni di onesto lavoro. Che fare ? Nelle ultime settimane sui mezzi di informazione avevo ascoltato i commenti di alcune persone jet-set. Benché appartenenti a vischiosi sistemi di potere, raccomandavano ai figli di recarsi all’estero per poter vivere onestamente. Era irritante. Mi ricordavo dei miei genitori che avevano fatto tanti sacrifici per fare studiare tre bambini, dei miei nonni con cinque figli. Del loro entusiasmo quando calcavamo gli stessi banchi di scuola dei figli dei ricchi e, quasi sempre, avevamo voti più alti di loro. Adesso alcune persone, potenti, si ricordavano della vera natura del nostro paese. Del fatto che stava precipitando. E raccomandavano alla propria discendenza di lasciare l’Italia. Ero sicuro che i loro figli non conoscevano l’umidità delle stazione di periferia prima dell’alba e il tanfo delle carrozze ferroviarie e delle metropolitane. Probabilmente, non avevano mai preso un treno alle cinque del mattino per andare a sostenere un esame. Dunque i loro figli non avevano mai sofferto fino a questo momento. Senz’altro non erano mediocri, non si poteva discutere di questo. Dunque solo quando i padri potenti non potevano più aiutarli, perché non c’era più nessuno da scavalcare, nessuna possibilità per nessuno ma solo il deserto, era divenuto necessario rispolverare le bandiere della lealtà, del merito e del rispetto.
Ripensavo ai miei sacrifici e a quelli di tanti compagni, figli di gente comune. Dei quali sentivi la puzza del sudore e della barba lunga perché non c’era tempo di sistemarsi la mattina prima di prendere l’autobus, e poi il treno e poi la metro. E poi a piedi. Tanti di loro erano di mente acuta, ma soprattutto erano brave persone. Tanti di loro non erano riusciti a finire l’università. Qualcuno aveva anche dato di matto.

E allora mi misi a pensare al mio paese. A come lo volevano quelli che soffrivano in questo momento, come la donna Italiana seduta dietro di me. Alle brave persone che, come me e come la mia sconosciuta vicina di aeroporto, non l’avevano mai abbandonato definitivamente perché là avevano i propri genitori e le proprie radici. Era venuto il momento di urlare «Vergogna! » a quelli che stavano affondando la nave e ora raccomandavano «Si salvi chi può! ».

© 2016 Stefano di Stasio. Ogni riproduzione anche parziale deve essere autorizzata per iscritto dall’autore. Eventuali abusi saranno perseguiti in termini di legge sul diritto dì autore


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© 2016 Foto di Stefano di Stasio.