Cerca nel blog

MOVIE CAMERA Neve 2012


Mentre infuriano dappertutto tormente di neve, proseguiamo la nostra rassegna proponendovi alcuni lavori in concorso per il Festival di Cannes 2011. Il cinema come una forma di esorcismo può elevare le nostre menti creando quel distacco da una realtà troppo amara, almeno per il tempo che siamo in sala, al buio a guardare un film.

© MOVIE CAMERA è un progetto di Stefano di Stasio


MOVIE CAMERA: "Polisse"
Regia di Maïwenn Le Besco


Senso e nonsenso della devianza nel deserto riarso dei sentimenti. È il lavoro di Maïwenn Le Besco, regista ancorché interprete del film, già nel ruolo di attrice in lavori precedenti di Luc Besson e Claude Lelouch. Nel commissariato di Belleville, sobborgo di Parigi, l’unità speciale di lotta agli abusi sui minori, la Brigade de Protection des Mineurs (BPM), si confronta con una società multietnica in cui gli abusi sui minori sono rappresentati a tinte di una inquietante varietà. Con una brillante trovata narrativa, vengono introdotti in un primo piano nel corso di un interrogatorio da parte del funzionario di turno, una serie di indagati, personaggi che oscillano fra la devianza inconsapevole e la tragedia della perversione. Una squadra di poliziotti un po’ particolare, questa della squadra minori, completo di miniclub femminista al suo interno, che subisce il coordinamento di un ottuso funzionario dirigente. Una girandola variegata di personaggi, Fred, Iris, Balloo, Chrys, Nadine, Nora, Sue Ellen, Gabriel sempre in gruppo e sempre solidali, una colorata compagnia allo sbaraglio di fronte a una realtà sociale complessa e spesso allucinante.
Il film è la metafora di una ardita partita di ping-pong fra conflitti di genere, da una parte, e casi di abuso dall’altra. Rapporti mai piani e quasi sempre conflittuali fra uomini e donne, sia nella famiglia sia nel lavoro, rispetto ai quali i poliziotti della BPM di Belleville non fanno certo eccezione. Sulla girandola impietosa di bambini abusati, abbandonati, indotti al borseggio o alla prostituzione, si innesca quasi cinicamente una storia di amore sul campo fra uno dei poliziotti, Fred (Joey Starr), e Melissa, una fotoreporter, interpretata da Maïwenn Le Besco. Con una disinvoltura tutta francese si alternano le scene dell’assalto notturno al campo Rom con annessa deportazione di bambini oppure quella straziante in cui un bimbo viene separato dalla madre indigente, rispetto a quelle della mensa del commissariato o della discoteca dove i compagni di brigata vivono i loro momenti di relax divagando in discorsi da collegio delle superiori. Il film non risparmia alcun risvolto dell’abuso, rendendo onore a una casistica pressoché esaustiva. E così il j’accuse viene posto su persone sospette di diverse origini etniche e religiose, su tossicodipendenti e psicopatici, includendo nell’elenco sia madri che masturbano i figli per farli addormentare sia maestri di ginnastica che si appartano nelle toilette con i loro bambini studenti dei quali sono perdutamente innamorati. Il film risolve con maestria tutti gli imbarazzi legati alle modalità di descrizione delle vicende di abuso, compreso quelli di linguaggio di verbali e interrogatori, accennando anche alla sordida protezione dei vertici dell’autorità di polizia rispetto a inquisiti dal nome celebre. Tuttavia, lascia irrisolte e sospese nella nebbia del giudizio, tutte le problematiche legate al significato più essenziale del rapporto di genitorialità. Gli stessi protagonisti del film sono padri e madri assenti che, come le figure mitologiche di Kronos o Saturno, si nutrono dei propri figli innescando in seno alle rispettive famiglie quelle situazioni di potenziale disagio minorile che loro stessi per lavoro combattono. Un atteggiamento, quello delle figure del film, che esplode nella sua contraddizione quando il primo piano è su figure di adolescenti, mostrando l’ilarità impotente dei poliziotti di fronte ai paradossi apparenti che si materializzano nella candida descrizione di ricatto sessuale subito da ragazzine che non esitano a sottoporsi ad un abuso di gruppo da parte di coetanei pur di riavere il loro iphone oppure che volutamente inducono alla prostituzione le amiche. Ma sopra tutto spicca l’inquietudine che monta nell’animo dei protagonisti della squadra minori nel corso delle situazioni a cui vanno incontro, allorquando la tensione, la frustrazione e i dubbi sulla giustizia della legge si accumulano, fino a rendere le figure di questi poliziotti caduche, fragili e quasi ridicole, preda di un parossistico bisogno di essere amati, di un desiderio psicotico di calore umano proprio lì sul posto di lavoro di fronte alla tempesta di sofferenze e violenze sui bambini indifesi alla quali assistono quotidianamente. E la fine del film, oltre che per un improbabile e scontato epilogo della storia d’amore fra Fred e Melissa, colpisce proprio per l’atto estremo di Iris, forse l’unica del gruppo che si è interrogata su un curioso caso di pedofilia senza poter contare su calore e amore che potessero sostenerla.

©Articolo scritto da Stefano di Stasio il 20 Febbraio 2012. ® La riproduzione è riservata.





SCHEDA FILM
Regia: Maïwenn Le Besco
Sceneggiatura: Emmanuelle Bercot, : Maïwenn Le Besco
Attori: Maïwenn Le Besco, Joey Starr, Karin Viard, Marina Foïs, Nicolas Duvauchelle, Karole Rocher, Emmanuelle Bercot, Frédéric Pierrot, Arnaud Henriet, Naidra Ayadi, Riccardo Scamarcio
Fotografia: Pierre Aïm
Montaggio: Yann Dedet, Laure Gardette
Musiche: Stephen Warbeck
Produzione: Chaocorp
Distribuzione: Lucky Red
Paese: Francia 2011
Uscita Cinema: 03/02/2012
Genere: Drammatico
Durata: 127 min
Formato: Colore
Note: Premio della Giuria al 64° Festival di Cannes (2011)




MOVIE CAMERA: "E ora dove andiamo?"
Regia di Nadine Labaki


Il grido di dolore delle donne contro il sangue versato per le guerre di religione. La regista libanese Nadine Labaki in "Et maintenant, on va où? " regala al grande schermo una vicenda originale nella quale una sparuta ma combattiva pattuglia di Donne in Nero fronteggiano i conflitti fra fazioni cristiane e musulmane in terra libanese nel periodo della guerra civile (1975-1990). Si propone anche nel ruolo di protagonista nella parte di Amale. In una splendida fotografia che ritrae un’arida landa in cui i caduti di religione giacciono in parti opposte di un cimitero, separate da un sentiero di sassi, si svolge la scena iniziale del film. Le donne di un paese si ritrovano periodicamente a commemorare i loro morti. Una voce femminile fuori campo recita una filastrocca. È la splendida chiave che usa il regista per accedere fin dai titoli di apertura a un mondo surreale che sa di fiaba. Fra le protagoniste femminili si stringe il patto, non dichiarato, di evitare ulteriori spargimenti di sangue fra gli abitanti di opposte fazioni religiose del loro enclave che ha la relativa fortuna di essere quasi irraggiungibile a causa dei campi minati e del crollo di un ponte. L’isolamento è, ad uno, sofferenza e opportunità di chetare sia pur in maniera autarchica i conflitti sociali. Ogni tentativo di contatto con il mondo circostante donde arrivano echi dei sanguinosi eccidi nella guerra civile passa per la censura delle protagoniste femminili. Discriminazione di genere feroce nei riguardi degli uomini, ritratti solo come litigiosi bambini pronti a dissotterrare le armi e a perpetrare la sete di nuovo sangue. Sui tetti dell’abitato svettano una chiesa cristiana maronita e una piccola moschea gestite da un monaco e da un imam che ben comprendono l’importanza della convivenza pacifica fra fazioni di diverso credo. La storia si svolgerà in chiave leggera e, a tratti, paradossale descrivendo gli sforzi eroici di Amale, Yvonne, Afaf e Saydeh per custodire e preservare la pace. In questo sta il merito della regista che ci propone, e lo esterna con passione con la sua viva voce probabilmente nella scena più bella del film, un concetto di tolleranza nel suo aspetto più universale, come oro dei popoli che la praticano, come comprensione e mutuo soccorso a prescindere dal credo. Tolleranza e convivenza da custodire a qualsiasi costo come il tesoro più inestimabile, anche sacrificando politica, amore e ruoli sociali. Si alterneranno vicende tragiche e comiche che porteranno alla soglia dell’innesco dell’ennesimo conflitto a causa della morte di un adolescente, avvenuta in una sparatoria lontano dal paese. Allora le donne si leveranno adoperando la più celebrata delle armi femminili di sempre, l’inganno, pur di salvare la pace. Coinvolgeranno nel loro piano una troupe di ballerine Ucraine, l’imam e il monaco, un finto miracolo che poi invece accadrà realmente. Lanceranno impavide la loro offensiva a colpi di frittelle e dolci all’hashish. L’ultimo morto sarà seppellito da un corteo funebre eterogeneo, e sarà pianto da entrambe le comunità che si porranno, trasportando il feretro, la domanda che dà il titolo al film una volta arrivati nel desolato cimitero. Una splendida luce sul ruolo sognato dalle donne nella convivenza pacifica fra diverse etnie e religioni, nonostante una visione troppo semplicistica delle motivazioni della guerra civile libanese, che durò ufficialmente dal 1975 al 1990 e fece 150000 morti. Una realtà storica complessa che ebbe come protagonisti numerose fazioni fra loro avverse per religione ma anche gli eserciti regolari di Siria o Israele, dispiegati con lo scopo di disegnare un nuovo scacchiere geopolitico del medio oriente.

© Articolo scritto da Stefano di Stasio il 9 Febbraio 2012. ® La riproduzione è riservata.

 




SCHEDA FILM
Uscita cinema: 20/01/2012
Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Nadine Labaki
Sceneggiatura: Nadine Labaki, Jihad Hojeily, Rodney Al Haddad
Attori: Claude Msawbaa, Leyla Fouad, Antoinette El-Noufaily, Nadine Labaki
Fotografia: Christophe Offenstein
Montaggio: Véronique Lange
Musiche: Khaled Mouzanar
Produzione: Les Films des Tournelles
Distribuzione: Eagle Pictures
Paese: Francia, Libano 2011
Durata: 110 Min
Formato: Colore
Note: vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Toronto 2011.
Presentato al Festival di Cannes 2011 nella sezione "Un certain regard"