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lunedì 31 ottobre 2011

Rassegna stampa - "Del seme più forte"



SABATO NON SOLO SPORTIVO
Direttore Responsabile Vincenzo Di Nuzzo – 22 Ottobre 2011

 
 

TELEPRIMA
Trasmissione "Libri in redazione" a cura di Maria Beatrice Crisci, Sabato 29 Ottobre 2011 ore 15:30
http://www.teleprima.it/



CASERTANEWS

Pane e Paradossi - Intervista all'autore, rubrica "Letto e Bloggato"
…Cortàzar, in un saggio dedicato al racconto, paragona quest’ultimo alla fotografia, in quanto deve circoscrivere e dettagliare per far apparire significativo ciò che narra e nei quattordici racconti che compongono "Del seme più forte", ognuno introdotto da un’immagine fotografica, l’autore Stefano di Stasio riesce a armonizzare efficacemente queste due arti della sintesi. Quattordici brevi e attenti viaggi che svelano la meccanica umana miscelando destini e impressioni, incontri e separazioni attraverso personaggi comuni, ma mai prevedibili o scontati, imbrigliati nelle spire di una società affogata in un’ ottusa e ottundente burocrazia…

Il testo completo della recensione e dell’intervista all’autore sono al link: http://paneeparadossi.netsons.org/?tag=trama-del-seme-più-forte


Recensioni Libri
…Come in un confronto impossibile tra mondi opposti, dalle disavventure di un uomo che si imbatte nella burocrazia si passa ai funerali indù sulle pire lungo un affluente del Gange e alla spiritualità del Nepal…

La recensione completa al link:
 www.recensionilibri.org/2011/10/del-seme-piu-forte-una-raccolta-di-racconti-e-di-istantanee-di-vita.html


Recensione Libro
…"Del seme più forte" di Stefano di Stasio raccoglie quattordici istantanee della vita di tutti i giorni. Quattordici incontri in cui viene messa in mostra come i gesti più semplici ai quali andiamo incontro ogni giorno, possono complicarsi fino a renderci impossibile la vita…

Il testo completo è riportato al link:
 
www.recensionelibro.it/del-seme-piu-forte-stefano-di-stasio.html


Tania Maffei
Ho letto tutto d’un fiato "Del seme più forte". È difficile non restare impigliati nella rete di questo scrittore-fotografo che sa descrivere la realtà che lo circonda fotografandola delicatamente come fa nelle sue foto. Stefano di Stasio ha la grande capacità di cogliere i dettagli anche minimi che la maggioranza di noi non riesce a vedere e che lui immortala sulla carta stampata dopo averli già probabilmente impressi sulla pellicola fotografica. Questo scrittore è anche uno scienziato e si sente nella scelta che fa delle storie che racconta ma è anche un uomo meridionale la cui mente è ancora imbevuta di riti pagani e di antiche superstizioni che non sa e non vuole abbandonare. Nelle sue storie il vecchio si mescola con il nuovo. I viaggi che lo portano lontano da casa sono un modo per ricevere nuove ispirazioni che troveremo nelle altre storie più casalinghe dove ognuno di noi può ritrovarsi nel vivere quotidiano di un’italietta che ormai ci lascia, giorno dopo giorno, sempre di più sgomenti e senza parole.

www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-di_stasio_stefano/isbn-9788848812856/del_seme_piu_forte.htm


Scrittori Modenesi - Scheda

DEL SEME PIÙ FORTE" Autore: Stefano di Stasio Edizioni/Print-on-demand: Lampi di Stampa, Agosto 2011

PERCHÉ
A volte mi sveglio durante la notte. Ripenso a quanto mi succede durante la vita, ogni giorno. Mi prende un senso di oppressione e insieme di rabbia. Penso che tutto quello che potrò fare o disfare per i miei figli sarà inutile. Che non servirà a niente. Che in un giorno non tanto lontano, forse è già oggi, non ci saranno più regole. Che hanno preso la nostra terra e anche la nostra mente. Che vaghiamo impazziti nella notte dell’uomo cercando di divorarci a vicenda. Mi chiedo perché adesso, nel ventunesimo secolo delle società "avanzate", non hanno più senso parole come eroe, uomo, padre, madre, onore, leggenda. Perché la morte ci fa paura e tante altre cose no. Mi domando se si possa ancora pregare, guardare nell’animo di sé stessi e degli altri senza avere lo scopo di truffare, massacrare, violentare.
CHI
Stefano di Stasio, un nome, una famiglia come tante
CHE COSA
Un libro di quattordici racconti e quattordici foto in bianco e nero scattate dallo stesso autore, prodotto con un print-on-demand. È un lavoro di ricerca. Segue la strada del linguaggio nei racconti. In parallelo, quella dell’esplorazione fotografica. La domanda che pone e che si pone è se ancora esiste nelle società del liberismo selvaggio la possibilità di garantire un’esistenza dignitosa per i propri figli.
DOVE
In giro, cercando di osservare senza fretta
QUANDO
Nel corso di anni di esplorazione
COME
L’uomo appartiene alla terra. Guardo le strade, gli aeroporti, le piazze e vedo schegge impazzite di umanità che rimbalzano come palle di biliardo su bancomat, supermercati, carte di credito, tasse e bollette. Appassito lo sguardo e annebbiata la vista. Il cuore batte su pantomime di "amori" che finiscono come l’abbonamento al parcheggio o alla metropolitana. La dignità si spegne in un vortice di eventi che si succedono senza posa, annullando la percezione. La cosa più naturale che provo è la fame e la sete. Volgo lo sguardo sugli animali, quelli che non abbiamo ancora sterminato. Pensiamo che siano stupide bestie, siamo certi di essere padroni del mondo. Invece no. Perché un’ape, o un corvo o un gatto hanno sempre dignità. Prendono dal mondo ciò che è necessario, nemmeno un filo di più. Non usano il denaro, i bancomat, le carte di credito. Vivono di vento nel vento, subendo l’alternarsi delle stagioni. Imparano a sopravvivere. Questo è "Del seme più forte".

http://www.scrittorimodenesi.it/index.php?option=com_zoo&view=frontpage&layout=frontpage&Itemid=139



Schede del libro su altri siti
http://www.braviautori.com/
http://www.nonsolomanoscritti.com/


Reperibilità:
Caserta - Libreria Mondadori, Corso Trieste 247
S. Maria Capua Vetere - Libreria Spartaco Interno 4, Via Martucci 18

internet: IBS, HOEPLI
http://www.ibs.it/ser/serfat.asp?site=libri&xy=stefano+di+stasio

 
   

martedì 25 ottobre 2011

PAROLA DI SCAMBIO: Tumán

 
Sospinta dalla voce dei lettori nasce la rubrica "Parola di scambio". Perché se è vero che la scrittura è il segno che materializza storie, personaggi e atmosfere, è altrettanto vero che l’emozione trasmessa dall’autore con un racconto o con una fotografia si traduce in parole da parte del lettore o dell’osservatore, in una sorta di cavalleresco scambio di colpi, come in una metaforica giostra medioevale.
Parole che qui riporto con piacere, siano esse di critica o di plauso, per assoluto dovere di cronaca.
Le prime impressioni riguardano il racconto "Tumán" che apre la raccolta "Del seme più forte".
 
 
MIRKO GIACCHETTI
"Cos'ha in testa certa gente?" (Teatro degli orrori - Alt!-)
Talune teste sono vuote, altre troppo piene ed alcune sono capaci di contenere storie. Storie che abbiamo la fortuna di leggere, come questo "Tuman". Ogni scrittore scrive di ciò che conosce, delle proprie esperienze, attinge dal vissuto e trasforma il narrato in qualcosa da cui tutti possono trarre un insegnamento. No, forse ho sbagliato. A meno che Stefano di Stasio non sia una "Lynx lynx carpathicus", direi che è un buon esempio di autore in grado di contraddire il pensiero comune: "Sei uno scrittore? Allora scrivi di te e bla bla bla". Il vero problema e che riesce bene! Le descrizioni sono dettagliate, quasi quanto potrebbero esserlo per una lince. Anne Rice in "Intervista con il vampiro" glissava il problema di vedere attraverso gli occhi del protagonista, liquidava il lettore con una frase tipo: gli occhi videro la notte in una maniera diversa... Ok, è un vampiro...chissà cosa vede? Stefano di Stasio fa un passo avanti, ci dona quegli occhi e ci porta fuori dalla nostra umanità!
Questo dettaglio è l'ennesima cura nell’ingannare il lettore. Sono felini che hanno caratteristiche umane? Poche parole sul finale! Tuman prigioniero e la prole che verrà, salva... Happy end a metà...Se entrambe le linci fuggivano: vissero tutti felici e contenti...Happy end full optional! Non discuto la scelta, anzi la condivido. Si tiene lontana dalla sensazione di "già visto" e mantiene vivo nella memoria il protagonista. Inoltre ci si domanda: cosa farà, come resisterà alla cattività? Ulteriore vantaggio: proietta l'altruismo sulla razza felina - da sempre considerata ultra egoista. Anche in questo caso esce dagli schemi, costringe a pensare oltre. Ci invita ad osservare meglio e, perché no, a riflettere! No, non sono felini con caratteristiche umane, sono felini più umani dell'uomo! Complimenti Stefano!
 
 

TANIA MAFFEI
Questo scrittore ha la grande capacità di descrivere in modo fotografico ciò di cui parla soffermandosi in modo direi quasi maniacale su mille dettagli. È difficile non riuscire a vedere le immagini che riesce a creare. Si sente la voce del fotografo e la mano esperta che lo guida. Le storie poi sono centellinate in modo che il lettore possa entrarci lentamente, senza fretta. Qui due animali selvatici vengono solo in parte umanizzati. O meglio è il modo in cui l'autore li guarda che ci fa incorrere in quest'errore che poi però viene subito chiarito. Anche questa volta però la crudeltà umana non ce la farà a vincere e l'animale porterà a casa la sua piccola vittoria: la femmina salvandosi riuscirà a preservare la prosecuzione della specie. Se il resto del romanzo è così penso che mi piacerà molto.



MORGANA BART
… L'uomo incontrato da Tùman è una figura meschina, curiosa, incapace di possedere valori, i guardiani ne sono l'esempio più chiaro. E poi la fuga di Ira, il coraggio di Tùman e la consapevolezza che la sua stirpe sopravviverà nella natura, dove l'uomo non è che piccola cosa…

La recensione riportata interamente la trovate qui:
http://paroleefotografie.blogspot.com/2011/08/del-seme-piu-forte-14-racconti-per.html#comments
 
 

Tumán

Tumán. Nebbia. Stava appollaiato su un abete rosso della foresta. Era l’alba di un giorno freddo. Dall’alto poteva vedere i fasci di luce obliqua che diffondevano fra i banchi di minuscole goccioline sospese a mezz’aria. Abbagliavano la vista. Sua madre l’aveva chiamato Tumán perché quando si erano aperti i suoi occhi a un mese dalla nascita era rimasta colpita da un velo sottile biancastro che copriva l’iride a losanga di colore celeste. Adesso, intorno a lui, il bosco ancora taceva avvolto dall’ovatta.
L’autunno volgeva al termine, presto sarebbe caduta la neve. In lontananza udì dei suoni bassi. Provenivano dalla terra. Erano i daini che cominciavano a brucare l’erba delle radure. Era l’ora di cominciare la caccia. Saltò giù dall’abete, per un attimo sembrò volteggiare nell’aria e rimanere sospeso sullo strato di nebbia. L’impatto col terreno non produsse nessun rumore percepibile. Cominciò a attraversare la foresta in direzione della preda. Le orecchie si muovevano girando a semicerchio. Stava in guardia per i cercatori di funghi. Spesso portavano con sé il fucile. Tumán procedette guardingo evitando le piste battute e i terreni non coperti di alberi. Arrivò in prossimità della radura. Di là dalla nebbia, coperto dai cespugli, scorse quattro piccoli daini, un maschio e tre femmine. Strappavano l’erba a piccoli morsi. Studiò il terreno e scelse la preda, la femmina più giovane. Muovendo le sue zampe larghe e coperte di pelo descrisse un movimento a forma di elle per raggiungere l’albero al confine settentrionale della radura. Dopo aver brucato l’erba i daini si sarebbero spostati in cerca di acqua. Tumán sapeva che a nord, dietro quella collina a forma di panettone, c’era una sorgente. Anche i daini lo sapevano. Con un balzo fulmineo raggiunse i primi rami del grosso ippocastano. Scelse il ramo più sporgente. Lo percorse quasi fino all’estremità. Si accovacciò e attese. I daini terminarono il pasto. Il maschio ebbe qualche esitazione, poi si mise in marcia verso la sorgente. Non c’era niente da temere. Il sole stava diradando velocemente la nebbia. I daini potevano vedere lontano. Sfilarono ai margini della radura mentre le residue gocce d’acqua nell’aria facevano una specie di aura attorno alle loro sagome. Come un fulmine Tumán si lanciò dal ramo sulla preda. L’addentò al collo con i lunghi canini. Il teatro della natura officiava una scena grandiosa di vita e di morte. Le sagome scure dei contendenti si stagliavano nette nello splendore della luce diffusa dai raggi del sole nascente. Per il giovane daino non ci fu il tempo di reagire. Il cacciatore era venuto dall’alto, al di sopra degli strati di nebbia, dove mai un daino avrebbe annusato l’aria per avvertire il pericolo. Gli altri daini fuggirono via. Per Tumán questa era solo la prima parte del suo lavoro. Dopo aver finito la preda, doveva scegliere un posto per nasconderla. Sarebbe tornato a sfamarsi ogni giorno, con calma. Trascinò il daino per un centinaio di metri. C’erano tre betulle che si intrecciavano vicino a una piccola scarpata. Quello era il posto buono per fare da dispensa. Facendo forza sui suoi possenti arti posteriori, il cacciatore prima balzò, poi con i denti sollevò e tirò. Poi di nuovo, saltò e di nuovo tirò per raggiungere quella specie di piattaforma naturale. Era soddisfatto, sistemò il daino ben fermo. Fece colazione con la carne di un cosciotto. Si riposò. Aspettò finché il sole si fece troppo caldo per lui. Allora strappò delle frasche dagli alberi e coprì con estrema accuratezza la preda. Sarebbe tornato la notte successiva.
Un balzo e sparì nella zona d’ombra della macchia.
Trascorse il giorno. Il sole cadde con enfasi dietro la collina a ovest, quella a forma di pino. Dalla direzione opposta del cielo comparve, sbiadito, uno spicchio di luna. Tumán aveva passato il giorno a sonnecchiare. Fra i canti degli uccelli che cercano compagnia prima di dormire, l’oscurità calò lentamente sulla foresta e sui suoi abitanti, facendo svanire piano piano i contorni degli arbusti e dei tronchi. Si avvicinava l’ora di rimettersi in movimento. I suoi occhi vedevano meglio al buio.
Si leccò la pelliccia. Annusò l’aria. Drizzò le orecchie con i ciuffi e si mise in marcia, camminando sul nulla, senza rumore. Inaspettato sentì l’odore della femmina. Si chiese chi fosse, nel suo territorio ce n’erano molte. Incuriosito seguì la scia che lasciava quell’inconfondibile estro. La raggiunse. Entrambi emisero gravi miagolii. Si chiamava Ira. Non l’aveva mai vista. Era molto bella. Aveva da poco lasciato i due figli. Quando erano loro cresciuti i canini dopo dieci mesi dal parto, aveva loro insegnato a cacciare. Poi era andata via, era tempo di accoppiarsi di nuovo.
La notte avvolse la foresta. Si udivano, ogni tanto, animali notturni. Rapaci. Fra ringhi sommessi, si accese l’amore di Tumán e Ira. Trascorse così il tempo fino all’alba.
La bruma ancora calava sul bosco. Non tanto fitta come i giorni precedenti. Gli amanti ebbero fame. Si mossero dal loro giaciglio. Tumán voleva condurre Ira alla sua dispensa sugli alberi di betulla. Attraversarono la radura e si diressero verso la collina là dove c’era la scarpata. Quella mattina non incontrarono nessun daino. Anche il corvo, che di solito volteggiava in cerca di cibo, non c’era. Salirono sulle betulle. Tumán scostò le frasche che aveva disposto per nascondere il daino e offrì a Ira la sua cacciagione. D’un tratto però avvertì uno strano odore, aspro e penetrante, non era di un animale del bosco. Ma era tardi. D’improvviso una rete calò dall’alto e li intrappolò. Cominciarono a dibattersi emettendo grida acute. Di più la rete avvinghiò la sua preda. Quando il sole fu più alto avvertirono da lontano l’abbaiare dei cani. Di lì a poco poterono vedere degli uomini con la divisa grigio chiara che si arrampicarono sulla collina. Erano le guardie forestali incaricate di sorvegliare quella regione vicina al confine fra cinque stati, dove le foreste dei Carpazi sono più fitte. Tumàn e Ira guardarono con ostilità le guardie che esprimevano la loro soddisfazione. Poi furono fatti entrare in grosse scatole di legno che furono trasportate a spalla fino alla strada. La puzza dell’aria era per loro insopportabile. Come facevano quelle persone a non sentire quegli odori nauseabondi e a continuare a far finta di nulla? Le gabbie di legno furono issate su un vecchio camion. Dopo un giorno di viaggio su strade sgangherate arrivarono in un paese dove l’aria era più sopportabile. Era fra le colline e la foresta. L’aria aveva un odore salmastro. Truskavetz. Il villaggio del sale. Tumán e Ira non sapevano che era un centro rinomato da secoli per le cure termali. Così come non sapevano che c’erano una mezza dozzina di palazzoni dove si praticavano cure di ogni tipo che erano chiamati "sanatori". In ogni sanatorio potevano alloggiare fino a mille persone. Era un posto di vacanza premio per i lavoratori di tutta la ex Unione Sovietica. Man mano che il camion procedeva nel villaggio osservarono dei grossi edifici bigi a cinque o a nove piani. Fra di essi scappavano e giocavano folle di bambini. L’autista del camion si fermò a comprare le sigarette. Scambiò qualche parola con i passanti mentre fumava, soddisfatto del viaggio appena concluso. In men che non si dica il camion fu preso d’assalto dai bambini che cercavano di vedere fra le fessure delle scatole di legno. Poi il camion ripartì e si fermò davanti a un grosso sanatorio. Venne un uomo in camice bianco con due grosse siringhe in mano. Prima Tumán poi Ira. Furono addormentati. Si risvegliarono dopo un tempo indefinibile. Il sole che tramontava sulle colline gettava intorno a loro un’ombra lunga fatta a piccoli quadri. 
Erano stati sistemati in una grossa gabbia nel parco del sanatorio "Carpazi". All’interno erano stati disposti degli alberi scheletriti e una tana finta. Tumán cominciò a esplorare l’ambiente. Non c’erano vie di fuga. La rete era solida. Sul tetto era stata saldata una tettoia. Alla gabbia si accedeva attraverso una cabina fatta di rete di ferro con una doppia porta. All’esterno c’era una prima porta per entrare all’interno del gabbiotto. Da qui si apriva una seconda porta che dava all’interno della loro prigione. Le porte erano serrate. Niente da fare.
Per tutta la serata Tumán e Ira si accoccolarono sullo scheletro di pianta e dovettero sopportare i flash dei visitatori.
"Ris. Lynx lynx carpathicus. Lince dei Carpazi. Si stima che siano presenti 2800 esemplari su uno spazio compreso fra Ucraina, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania." Era scritto in bella mostra su un cartello davanti alla gabbia.
Ogni tanto Tumán leccava sul muso la compagna, sui ciuffi di peli ai lati del viso. Cercava di consolarla.
L’indomani conobbero i loro guardiani. Uno era una donna, si chiamava Orissa. L’altro era un uomo, Stepan.
Orissa e Stepan erano molto diversi. Tanto odiosa e precisa la prima, quanto simpatico e approssimativo il secondo. Forse era l’alcol che l’uomo beveva in continuazione. Portavano dei pezzi di carne quasi putrida. La donna si introduceva attraverso la porta esterna all’interno della cabina di transito. Poi Stepan chiudeva la porta esterna e Orissa apriva quella interna dalla quale si accedeva all’interno della prigione. Tumán rizzò i ciuffi di pelo sulle sue orecchie e con calma studiò il da farsi.
Venne la mattina del terzo giorno. Cominciava a nevicare. Da lontano Tumán osservò Orissa e Stepan avvicinarsi alla gabbia. L‘uomo era visibilmente ubriaco, questa volta aveva esagerato con la vodka. La sua collega se ne rendeva conto e ogni tanto lo apostrofava "Pízno, Stiupka! Pospisciái !" cioè "È tardi, Stepan! Sbrigati!" Orissa entrò nel gabbiotto. Tumán era arrampicato sul tetto, poteva osservare bene la scena. Stepan, barcollando, non aveva richiuso la porta esterna, ma la donna non se ne era resa conto, indossava uno spesso copricapo di lana grezza. Orissa aprì la porta interna e accedette all’interno della gabbia, sporgendosi fuori dalla porta della cabina di transito. Fu un attimo. Tumán si avventò dall’alto sul collo della donna emettendo urla furibonde. Ira approfittando della situazione sgattaiolò a lato della donna, spinse la porta esterna semiaperta mandando a gambe all’aria Stepan. Poi si fermò per aspettare Tumán. Ma Orissa era esperta. Con un forcone in mano respinse Tumán all’interno della gabbia e chiuse la porta fatta di rete metallica. Tumán guardò Ira. In un attimo i suoi occhi furono eloquenti come mille parole. Va’ Ira, Va’. Possa lo spirito della foresta accompagnarti nel tuo viaggio. Va’, scappa di là dalle colline. Porta la mia carne, i cuccioli che partorirai là dove ci siamo conosciuti. Dove l’acqua scorre e volteggia il falco, dove regna il silenzio e l’aria profuma di muschio. Abbi cura dei miei figli.


Tratto dalla raccolta "Del seme più forte" Racconti per Immagine, Edizioni Lampi di Stampa (2011).
http://www.ibs.it/code/9788848812856/di-stasio-stefano/del-seme-pi-ugrave-forte.html
http://www.hoepli.it/libro/del-seme-piu--forte/9788848812856.asp

© testo e foto di Stefano di Stasio