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venerdì 27 gennaio 2012

Sheqel Grani di Poesia: Elena Leica

Ó a cura di Stefano di Stasio

 
Il primo appuntamento di Sheqel è con Elena Leica, un’autrice che spesso si incontra sui social network. Le abbiamo chiesto di proporci due poesie della sua produzione recente. Ha scelto "Quel bacio mai dato" e "Animo di nebbia". Le riportiamo nel corso dell’intervista. Abbiamo lasciato inalterato il testo scritto da Elena che, come vedrete, usa in maniera personale i segni di interpunzione. La sua biografia si trova in fondo all’articolo.



--Buongiorno Elena. Direi di introdurre la prima poesia che lei ha scelto per la nostra rubrica: "Quel bacio mai dato":

Quel bacio mai dato
Ricordi quel bacio mai dato
in quegli istanti segreti
nell'infinito dei tuoi occhi
... più belli delle stelle
lucidi,
bruni come la tua pelle
con riflessi bollenti
come il caffè del mattino
che riempie il respiro
nell'abbracciare il giorno.
Quel bacio mai dato
sognato fra tende
mosse dal tempo
e dal solletico allegro del vento
che ci sconvolge l'anima
fra raggi di sole, piogge
e brillanti fiocchi di neve?
Quel bacio mai dato
inesploso fra emozioni inebrianti
così estasiate da ricoprire
la nudità dell'anima.
Il tempo si era fermato
nell'attesa del brivido
di quel bacio
nel vortice di pensieri
inquieti
su labbra di desiderio.
Ricordi?
(Elena Leica)



--Ci può spiegare perché ha scelto per presentarsi a Sheqel Grani di Poesia "Quel bacio mai dato" e "Animo di nebbia"? Che cosa rappresentano per lei queste due liriche?

"Quel bacio mai dato"...rappresenta una preziosa sensazione conservata nel cuore.
"Animo di nebbia"...è una lirica particolarmente triste. A volte mi ritrovo avvolta dalla nebbia che oscura i riflessi del mio tempo...un ritorno nel passato, nell'oscurità di alcuni ricordi che mi seguono e mi tormentano...e piango spesso e mi pento "di quei resti di me" rovesciati nel vuoto, nei rimpianti...giudico me stessa di non aver curato di più...la mia immagine, il mio ego...ma tutto ciò...mi fa riflettere, mi dà forza, mi rigenera e sono convinta che se non sarei stata avvolta dalla nebbia...oggi forse non avrei saputo apprezzare fino in fondo la lucentezza del sole che brilla nella mia vita...


--Riportiamo dunque il testo di "Animo di nebbia":

Animo di nebbia
Grigio sofferente
macchia l'animo
e offuschi pensieri
cascano
nel rifugio interiore
come le foglie,
strappate dagli alberi
come lacrime,
che scorrono dagli occhi
nel pianto del cuore.
Svanite stagioni
giacciono nei rimpianti
e piove di nebbia
malinconica strega,
magra e buia,
fitta
come prepotente aria
soffocante.
Inginocchiando
all'anima,
prego,
grido
e chiedo quel perdono
che macina dentro
quella luce dell'ego
spenta
da oscuri e amari riflessi
di nebbia.
(Elena Leica)


--Lei ha scritto in una poesia intitolata "L’anima dello sguardo":
http://www.scrivere.info/poesia.php?poesia=244120&mid=57954

"Riflessi d’anima / nello sguardo mosaico / trasparente / lucido specchio / prezioso quadro vitale / dipinto dal cuore / nei ritmi essenziali…".
Ci vuole parlare di che cosa lei vede nel viso di una persona?

"L'anima dello sguardo" ...nel viso di una persona...osservo la sensibilità dell'anima che si legge negli occhi. Un impatto importante che permette di vedere oltre...uno specchio lucido, trasparente, prezioso quadro vitale...essenziale nei suoi riflessi interiori. Dentro lo sguardo c'è un insieme di colori, un mosaico di sensazioni, immagini, percezioni, tesori e misteri, una ricchezza senza limiti...la verità dell'essere.
 
 
--Nel componimento "quel bacio mai dato" ci parla di un’emozione sospesa nel tempo. Che cosa rappresenta nel vissuto di una donna l’amore che non si realizza, che rimane sospeso? Che senso ha innamorarsi di un’ombra?
 
"Quel bacio mai dato"...un modo di esprimere le sensazioni provate dal cuore nei momenti in qui questo misterioso bacio....non poteva essere dato. Emozioni vissute, sentite nei brividi del cuore nei tempi quando sembrava impossibile raggiungere l'amore desiderato. Fortunatamente oggi...quel bacio mai dato...brilla come un diamante nei riflessi di un amore raggiunto e mi riempie ogni giorno di felicità con i "baci dati passionalmente''.
Nel vissuto di una donna l'amore che non si realizza...che rimane in sospeso...secondo me, può aiutare l'animo di una donna...nell'immaginare che nel mistero...il desiderio d'amare rimane vivo sfiorando l'anima e corpo nell'istinto ribelle che si nutre dell'impossibilità dei sogni...e dai brividi d'attesa...che esplode il senso di vedere in "quell’ombra''...il suo amore ideale così, come l'ho desidera....e chi sa se da "quell’ombra''...un amore, amore vero...arriverà!!!....a me è successo...


--Nelle sue poesie viene rappresentato il ritmo del tempo che scorre. Pensa davvero che sia possibile arrestare questo fluire inesorabile? Il tempo non è forse il miglior rimedio in situazioni dolorose come la perdita dei propri affetti? Non crede che possa avere un ruolo taumaturgico il fluire del tempo?
 
...Lo scorrere del tempo...nelle mie poesie può essere fastidioso rispetto alla realtà....è solo uno sfogo interiore che scorre nei versi....a volte veloce, a volte lentamente...ci sono momenti quando vorrei fermarlo...a volte vorrei farlo scorrere nei ritmi dei secondi...forse perché il mio animo viaggia sempre tra passato, presente.....e vola nel futuro con le ali del cuore...sempre di corsa nel gustare la vita in tutti sensi....nelle gioie, nei dolori.

 
--Nel suo video su youtube "Impetuoso silenzio" lei si esprime così:
 http://www.youtube.com/watch?v=GLScZ4WGrJI&feature=share&mid=57

"…presuntuose stagioni / mi tormentano, / e piango, e rido / e piango ancora…
…e la mia voce / muore nel fiato / e se grido / non mi sento / e se sogno / non mi sveglio…"
Sembra che la sofferenza vissuta come tormento quotidiano sia il requisito necessario al sentire, a poter provare quella tempesta di emozioni che si manifestano nella poesia. Per lei che cos’è la sofferenza? Come dirà più avanti nella stessa lirica "qual è il senso della realtà" che lei cerca in "antiche dimore dove l’animo si rigenera"?
 
La poesia "Impetuoso silenzio"...l'ho scritta pensando ad una mia carissima amica. Il suo dolore, il suo perdersi nel vuoto mi ha emozionato fino alle lacrime che scorrono ancora dentro di me. Mi trovo spesso a viaggiare nel cuore delle persone e dentro il sentire, soffrire...ascolto il loro grido disperato...e da li che i miei versi piangono sulle righe...e la sofferenza prende il suo spazio con oscura prepotenza...logorando la memoria, la coscienza, l'anima e corpo...una potenza negativa che può distruggerti fino alle ossa...e non tutti hanno la forza di combatterla...


--Elena, può dire ai nostri lettori dove è possibile reperire una raccolta delle sue poesie? Oppure i siti web dove lei ha pubblicato di più?

C'è in corso la preparazione del mio primo libro (per ora riservata la comunicazione) appena possibile darò informazioni nel riguardo. Le mie opere sono pubblicate su siti: Scrivere; Parole d'amore; Poesia nuova; Eros poesia; Poeti e poesia ; Anime di poesia (pagina personale).
 
 
--Lei pubblica spesso suoi componimenti su facebook. Quale ritiene sia il ruolo dei social network nella relazione fra chi scrive e chi legge? Crede che ci siano limitazioni intrinseche alla comunicazione su tali reti ? O anche: pensa che il supporto informatico sia sufficiente a veicolare le emozioni pensate per essere scritte su carta, come è successo per lei da bambina con il suo piccolo quaderno?
 
Il network mi sembra un medium utile che permette una certa facilità e immediatezza nei contatti. Uno strumento fondamentale attraverso il quale io personalmente sono riuscita a dare voce...e ascolto alle mie opere avendo la possibilità di farmi conoscere e di conoscere altri poeti ed al contempo di relazionarmi con essi.
Il supporto informatico mi sembra in generale sufficiente...a veicolare le emozioni pensate per essere scritte su carta. Tuttavia secondo me è sempre piacevole leggere su un foglio di carta la ricchezza interiore di ogni poeta che lascia sulle righe come un testamento nel tempo...la sua poesia del suo animo....


BIOGRAFIA di Elena Leica
Mi chiamo Elena Leica, sono nata in Romania il 30 novembre del 1971 e vivo in Italia da oltre dieci anni. La passione per la scrittura e per la poesia in particolare mi accompagnano da bambina, quando nel giardino di mia nonna mi rifugiavo fra le pagine del mio quadernino, viaggiando con la fantasia. Ho da poco ricominciato a comporre liriche, ed è una cosa questa che mi riempie l'anima; è il respiro delle mie giornate che mi aiuta a superare i momenti difficili con serenità, forza ed ottimismo. Sono di natura una persona solare, sorridente, che ama le cose semplici... Sono un'inguaribile sognatrice! Mi piace la fotografia, viaggiare e... svegliarmi al mattino con una bella tazza di caffè fumante. Il resto lo diranno le mie poesie.

 Ò Articolo realizzato da Stefano di Stasio il 23 e 27 Gennaio 2012. Ogni riproduzione è riservata

Sheqel Grani di Poesia EDITORIALE

Ó Ò Sheqel Grani di Poesia è un progetto di Stefano di Stasio

I popoli che vissero nella regione fra il Tigri e l’Eufrate e nelle terre solcate dal Nilo e dal Giordano concepirono, circa 5000 anni fa, una unità di misura di peso, conosciuta con il nome di Sheqel. Usarono come unità di riferimento i semi di orzo. Il Sheqel, al plurale Sheqalim, era il peso di 180 grani di orzo corrispondente a circa 8 grammi.
Al nastro di partenza la nuova rubrica di Parole e Fotografie. Sheqel: Grani di Poesia. Perché il sentiero che collega parole ed emozioni passa per i suoni, le sillabe e i ritmi che sono destinati a germogliare come antichi semi nell’animo del lettore. Spesso dopo eventi apparentemente catastrofici e dolorosi. Come accadeva in tempi remoti dopo le esondazioni dei fiumi nel territorio della Mezzaluna Fertile, così, ancora oggi, da antichi semi gettati nella polvere, il fertile limo dell’immaginazione feconderà nuove e delicate gemme, il patrimonio condiviso della parte migliore dell’uomo.


Ó foto di Stefano di Stasio. Ogni riproduzione è riservata.

lunedì 9 gennaio 2012

Intervista a Cheikh Tidiane Gaye autore di “Curve alfabetiche”, silloge poetica

a cura di Stefano di Stasio

Dalla quarta di copertina:

…Ho curato la mia ferita nel ventre del flauto
non mordo il suono del vento
colgo l’aria per dissodare le bocche orfane di melodie
e seppellire le doglie delle notti tristi…


1. Buongiorno Cheikh. Vorrei cominciare l’intervista con una sua poesia che leggo in "Curve alfabetiche":

Che il sogno si nutra di incubo
non sorprende nessuno
che la notte si vanti del buio
ci rende solo felici
che l’alba dipinga di latte il cielo
ma dal profumo della parola
vorrei che si cantasse il futuro
perché domani sarà sempre una nuova alba.

Che cosa è per lei il futuro?

Il sogno è per essenza l’attività del poeta, il sognatore costruisce il suo mondo, la sua vita e tramite il suo potere linguistico e le sue emozioni ne esce come vero protagonista. Il futuro è quindi per eccellenza l’ideale del poeta, il traguardo, a volte raggiungibile a volte inavvicinabile, ma il sogno dà sempre speranza. Anche i poeti della tradizione orale africana hanno questa particolarità. Il futuro visto come il mondo reale e/o virtuale da costruire.
Il poeta si tuffa continuamente nel sogno e non si allontana mai della "Repubblica". È suo dovere denunciare, rivendicare, tracciare orizzonti nuovi e promettenti.

2. Il tema della parola ricorre nelle sue liriche. Per esempio in "Sono il maestro della Kora" inclusa in un’altra sua raccolta "Canto del Djali" dove scrive:
detesto le parole oscure e la sobrietà è la forza dei miei pensieri.
La storia è sulla punta delle mie labbra, la parola è il sangue
che vivifica le mie vene

Viene fuori un concetto di parola come embrione, sangue e vita, come acqua dei cuori assetati. Infine, lei canta di parole alate, partorite dall’accoppiamento di consonanti e vocali. Nella lingua Wolof parlata in Senegal diversi concetti nascono da dettagli legati al corpo, al fisico, la vita come respiro. Nelle culture delle società del terzo millennio, a est come a ovest, a nord come a sud, il linguaggio tecnico e gli aridi slang informatici sono tiranni. È evidente come si tende a sottovalutare il ruolo delle parole. Ci può descrivere l’aspetto fisico delle parole, come le immagine, quali sono per lei le loro qualità più "corporee"?

La parola nella tradizione poetica africana diventa il polmone del linguaggio in generale. L’effetto della parola è molto più potente del fulmine, del cratere del vulcano o dell’uragano. La memoria è rappresentata dalla parola quindi l’utilizzo richiede molto il senso elaborativo e conservativo. La modernità ha rivoluzionato molto, per il bene dell’umanità intera, i mezzi di comunicazione, la poesia ha un altro scopo: esteriorizzare le emozioni tramite la bellezza e l’arte della parola. La parola diventa luce e non tenebre.


3. Nella lirica "Non sono poeta" lei afferma: Taglio le mie sillabe nel fuoco della purezza, / sono l’angelo delle maschere, invisibile la notte / nelle tenebre delle parole / che tracciano i gloriosi canti dei guerrieri. / Non sono poeta, / lo sarò.
La poesia è da sempre legata alla leggenda. Nelle culture di derivazione ellenistica, siamo abituati alle gesta di eroi antichi che, come accade nell’Iliade o nell’Odissea, combattono mostri ed esseri malvagi dai poteri sovrannaturali per conquistare la luce e la conoscenza. Nella sua visione del mondo, qual è il ruolo della scienza e della conoscenza , di quella curiosità innata nell’uomo che lo spinge alla scoperta, a superare i limiti proibiti, a oltrepassare le "colonne d’Ercole" dei mari conosciuti?


I versi sono eloquenti. Attingo le mie strofe nel più profondo della mia cultura orale, ogni parola ha il suo peso, il suo significato e la sua genesi. La poesia orale si basa fondamentalmente, oltre che sul contenuto molto istruttivo e educativo, sul modo di tessere ogni verso, che diventa prima di tutto canto, ode e poi ritmo. La scienza farà il suo percorso, la poesia, ovvero la tradizione poetica, deve conservare la sua "coscienza" e la sua identità. È solo in questo modo che si potranno conservare le nostre radici, in un’epoca di mondializzazione, che tende, sempre di più, a seppellire il passato culturale dei popoli. L’esistenza delle maschere può essere interpretata come il mondo sovrannaturale, da un europeo, ma, per l’africano, non lo è affatto, perché gli dèi fanno parte della nostra vita. Le cerimonie africane dimostrano, ad esempio, una richiesta continua d’aiuto agli spiriti. Le odi rivolte agli spiriti sono numerose e sono poesie, come fossero strofe sfornate oralmente dal cantastorie e accompagnate dai ritmi dei tam-tam durante la stagione della pioggia, i funerali, i battesimi.


4. Alcuni suoi lavori sono in lingua Francese. Per esempio nella lirica "La linfa che canta" tratta da Ode nascente pag 68-69 leggiamo:

...J’ai semé des graines, a fleuri une plante.
J’en ai sculpté une plume et dans la sève une encre, le feuillage le message sublime comme édifice…


…Sois le poète aux vers de vérité et relève toi des Balkans, foule la terre parfumée d’Orient pour
soulever le rêve des peuples


Il ruolo del poeta è intimamente legato a immagini della natura. Quali sono nelle società multietniche i semi dell’amore universale? Quali colori immagina per una società che è destinata a essere sempre più crogiolo di etnie e crocevia di linguaggi?

Il bilinguismo è molto bello e permette al lettore di rilevare le differenze musicali e la "corrispondenza delle arti", come si dice. Il poeta è il moltiplicatore di progressi, il vate della società o della nazione in cui vive. Egli è il difensore ed il guardiano delle tradizioni culturali. Il contenuto dei suoi versi può essere di ogni di colore, il linguaggio ha il suo senso allattato dalle matrici linguistiche di appartenenza e non solo. Il poeta diventa ponte di culture.


5. Lei ci ha parlato spesso con devozione di Léopold Senghor Sédar. Trenta anni fa circa, quando esploravo per la prima volta la possibilità di visitare la Casamance, rimasi colpito da questa figura di poeta e presidente del Senegal, in un’Africa nera popolata all’epoca da dittatori e mercenari, in cui si versavano fiumi di sangue nelle stragi di pulizia etnica. Chi è per lei Senghor Sédar?

La vita dell’uomo è una leggenda. Politico ha un grande merito: è quello di aver fondato una nazione solidale. Ma rimaniamo sul personaggio letterario. Brillante studente, ottimo poeta, grande difensore della cultura del suo popolo e vero propugnatore di un movimentato la Negritudine che all’epoca è stato molto studiato in Europa e nel mondo. La sua creatività è stata lodata dai grandi studiosi. Conoscitore del latino e del greco, egli ha avuto anche il merito di incitare i popoli a sposarsi per l’eternità. Tale dottrina è l’universalità delle culture e dei popoli. Senghor ha aperto al mondo le vie universalizzanti e umanizzanti. È stato un grande visionario e le sue teorie sono oggi oggetto di ricerca. Fu l’uomo che difese l’esistenza della cultura della diaspora nera.


6. Leopold Senghor Sedar scrive "Donna nera" che lei ama ricordare spesso:

Donna nuda, donna oscura
Olio che nessun soffio increspa, olio calmo ai fianchi d’atleta, ai fianchi dei principi del Mali
Gazzella dalle giunture celesti, le perle sono stelle sulla notte della tua pelle…

Ci può parlare dell’Africa che immaginava Sedar Senghor e in quella che lei ha vissuto?

Il personaggio in questione fu un genio della parola, sapeva dare armonia e ritmo, suoni e immagini alle sue strofe. Con la parola ha saputo difendere la cultura del suo paese. Egli ha ridato dignità ad una cultura derisa nella storia per secoli.
 
" Donna nera, donna nuda" è molto nota come poesia, una cantilene in Africa francofona. Certo la poesia è un’ode alla donna nera, l’anafora che dà ritmo alla poesia si nota per prima. Il verso: "le perle sono stelle sulla notte della tua pelle" è molto simbolico. La donna considerata come astro (stelle). Infatti è una presa di coscienza dei valori della Negritudine, la liberazione delle tenebre a favore della conoscenza. Conviene rilevare che la donna viene elogiata. L’Africa è magnificata con l’evocazione del Mali e della fauna.


7. Nella cultura laica dell’Italia di oggi si fa fatica a indicare ai propri figli sia un’etica possibile sia una prospettiva di dignità dell’uomo. Lei ci parla ne "Il giorno": 
 …e non so in quale notte / canterò di nuovo per addobbare il mio albero / che rifiuta di fiorire i miei sogni.
Di che cosa parla lei con i suoi figli quando si discute della prospettiva, di che cosa diventerà l’uomo domani o forse già oggi?

Interpretare i versi di un poeta non è impresa facile. Il poeta è per natura una persona ambigua e nello stesso tempo limpida e sensibile. Il futuro è figlio del mistero e chi sa quello che accadrà viene chiamato " mago". Il sogno che svanisce, che " rifiuta di fiorire", i giorni difficili del passato e l’incertezza della vita mi interpellano. Ed è vero che a volte le esperienze partecipano molto all’incremento dell’uomo, ma nessuno augura che i suoi figli attraversino strade dolorose e faticose. Un buon padre non vuole vedere la sofferenza dei suoi figli.

8. Nel suo lavoro "Ode Nascente" edita da Edizioni dell’arco, 2008 lei parla di "Pelle nera" e ci regala tratti di lirica che sembrano scaturire dall’essenza stessa delle sue origini:

Ho ritrovato il mio sangue
La sillaba che raccoglie le stelle dell’unico cielo
La parola che canta il grano della sabbia
Il peso del ritmo e il tempio della cadenza…
…la tua pelle è canzone che fiorisce in parola
il vento della primavera, il peso notturno
la tua pelle non è la stuoia sdraiata nelle ceneri della viltà
è l’arte del tempio d’oriente e dell’occidente
che figlia le sillabe immortalate sotto il sole del Sahel …

Tidiane il suo modo di fare poesia mi fa ricordare per certi versi i componimenti di Sergej Aleksandrovič Esenin per la potenza evocativa delle parole. Di che cosa le parla la sua memoria, che cosa evoca nel suo animo quando scrive de il fuoco di mezzanotte e le parole degli anziani ?

Nella mia scrittura l’ode alla parola è un assioma importante. Non è una scelta personale, è una realtà profonda connessa alla mia realtà culturale che considera la parola come ossigeno. La parola rappresenta la memoria, il portatore di quella memoria fu il vegliardo e/o il cantastorie. Il versificatore africano mette sempre in evidenza la forza della parola come pilastro del suo racconto e dei suoi versi con l’uso molto articolato di sfumature, di ritmi, suoni e soprattutto di immagini.
Intorno al fuoco nelle serate leggendarie, una sola voce si faceva prevalere: era quella dei saggi depositari secolari della memoria collettiva e della dignità della cultura ancestrale. Questa è l’Africa che canto, che lodo, che valorizzo nella mia scrittura e nei miei versi.


9. Un’ultima domanda per un dubbio personale. In un suo componimento inserito nella raccolta "Curve alfabetiche" lei scrive:

Canto la bellezza dei fiumi
la brillanza del sole e della lunae non vorrei che l’essere amasse
il suo prossimo
l’amore nasce tramite la parola
strappo la dolcezza del remo
remo sin sulle spiagge della felicità.


Perché non vorrebbe che l’essere amasse il proprio simile o non ho ben inteso le sue parole?

L’amore, la concordia, l’unione, la fratellanza, la coesione sono i pilastri della mia scrittura. Canto la beltà in tutti sensi. Perché dobbiamo sopprimere l’altro? L’essere sottinteso come concetto di esistenza non deve offuscare il perimetro di sviluppo intellettivo dell’altro. Nel cerchio esistenziale l’altro occupa un posto importante, occorre più socialità e più apertura per la valorizzazione del nostro essere, della nostra esistenza.

© Intervista realizzata da Stefano di Stasio il 26 Dicembre 2011 e 6 Gennaio 2012. Pubblicata su Parole e Fotografie il 10 Gennaio 2012 / Ò Ogni riproduzione è riservata.

SCHEDA DEL LIBRO
 


Titolo: Curve alfabetiche
Autore: Cheikh Tidiane Gaye
Editore: Montedit

Data di Pubblicazione: Luglio 2011
Collana: Le schegge d’oro
ISBN: 9788865870808
Pagine: 40
Formato - Prezzo: Brossura - 6,50 Euro

Note: premiato con "L’imbuto del tempo" nella sezione Poesia Inedita del Premio Archè Anguillara Sabbazia 2010

lunedì 2 gennaio 2012

Intervista a Giusi Marchetta, autrice di “Dai un bacio a chi vuoi tu”, Premio Calvino 2007

a cura di Stefano di Stasio





Dalla quarta di copertina:

Non sono bravo nelle cose in cui ci vuole fortuna. Mai trovato un soldo per strada, parcheggio nell’ora di punta, la taglia giusta durante i saldi, la sorpresa decente nell’ovetto Kinder Sorpresa. Se compro un biglietto della lotteria, neanche controllo se è quello vincente oppure no. Controlla mia madre, poi in genere dice: "Quando smetti di comprarti ‘sti cosi?


1. Buongiorno Giusi. Comincerei dal racconto che dà il nome alla raccolta "Dai un bacio a chi vuoi tu". La filastrocca è cantata da un bambino, con le sue parole:
"…Gianni, che avrà avuto cinque anni e già i coglioni li sapeva rompere bene, da vero professionista…"
"…Ho afferrato Gianni, il rompicoglioni, l’ho tirato via. Per fare un po’ di scena l’ho pure preso in braccio. Lui ha cominciato a piangere e a sbracciarsi, l’ingrato, allora io l’ho stretto più forte e l’ho tenuto fermo, ed è allora che è successo, e l’ho sentita come una ferita, uno strappo. Una fitta, la prima proprio qui, in mezzo al petto…"
Sembra di cominciare la narrazione sulle scene di apertura del film "Certi bambini" di Andrea e Antonio Frazzi (2004) per sospenderla su un inedito primo piano di un aspirante pedofilo turbato nell’intimità dai primi sintomi di devianza. Ci vuol descrivere come nasce questa singolare narrazione?

La storia del giovane pedofilo, o meglio del ragazzo ossessionato dall’idea di essere attratto dai bambini, nasce da un fatto di cronaca risalente a qualche anno prima della stesura del racconto. Una testimone in un caso di pedofilia è stata uccisa davanti casa sua e il processo che riguardava una rete di pedofili insospettabili è stato archiviato per mancanza di prove. In un’intervista le maestre del figlio della vittima si auguravano di poter andare avanti come se nulla fosse successo. Non credevo alle mie orecchie: qualcosa era successo, anzi molte e brutte cose. Far finta di niente non avrebbe cancellato nulla. Non avrebbe guarito nessuno. Così ho cominciato a riflettere su quello che ci piove addosso all’improvviso, i demoni che non riusciamo a combattere e che cambiano tutto. Mi è sembrato interessante raccontare la storia partendo da un carnefice che è anche vittima. Non il cattivo della situazione, ma l’essere umano in balia del suo male.


2. La figura maschile dello stesso racconto, l’aspirante pedofilo di cui dicevamo prima, è senza dubbio un personaggio carico di empatia. È intelligente, colto, "il più fantasioso della classe", è fondamentalmente onesto, legge "Altrimenti che essere" del filosofo ebreo lituano Emmanuel Lévinas, guarda con distacco i film porno e la letteratura erotica. Insomma, è l’orco del paradiso o che cosa?

La rappresentazione del pedofilo viscido, adescatore, schiavo delle sue pulsioni non mi interessava. L’immagine dell’orco, per dire, è facile da odiare. Il mio protagonista è un universitario come molti, vive in una città poco stimolante, cerca di condurre una vita normale. Non è molto dissimile da me o da chiunque altro. È questo il punto: perché dovrebbe esserlo? Le nostre tendenze, le ossessioni, le perversioni, sono innestate in noi, si legano al nostro essere onesti, colti, simpatici. Siamo umani, niente di umano ci è estraneo: né la tensione al bene collettivo, né l’istinto a soddisfare i nostri desideri. Questo non giustifica ovviamente l’atto criminoso che danneggia gli altri e che è frutto di una scelta. Questo ragazzo prova o si convince di provare dei desideri che lo mettono in crisi e quindi ne soffre, si tormenta. L’empatia che sentiamo per lui deriva proprio da questa sofferenza che ci affratella, la pena che proviamo nel constatare che a volte siamo incapaci di sottrarci ai nostri inferni personali.


3. In testa al suo recente libro "L’iguana non vuole" lei cita una frase di Bertolt Brecht:
"Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati".
Lei si è seduta in "Dai un bacio a chi vuoi tu" dalla parte delle "vittime" in un certo senso, di quelli che subiscono l’ambiente, i condizionamenti sociali e le angosce più crude, la prepotenza, l’abbandono, la devianza, anche se poi emerge i quasi tutti i personaggi la voglia di riscatto e di rivalsa su quanto li ha oppressi. Una domanda difficile: che cosa ritiene siano oggi i fattori sociali più oppressivi e condizionanti nella vita di un uomo o di una donna in Italia?

È veramente difficile dare una risposta che non cambierei domani mattina. Credo però che a fronte di un enorme progresso tecnologico l’Italia continui a fare i conti con i residui di una mentalità chiusa, facile al pregiudizio e a un miope moralismo. Questo vale soprattutto per le donne che si confrontano quotidianamente con il sessismo e/o il paternalismo dei loro colleghi. A farmi paura più di ogni cosa comunque sono i luoghi comuni: sono difficili da scardinare, creano delle gabbie in cui contenere fatti e persone. Probabilmente poi, tra i fattori sociali più condizionanti inserirei la povertà intesa sia in senso economico che culturale: entrambe ci privano di mezzi utili alla comprensione del mondo e alla capacità di rapportarci agli altri in modo più giusto e solidale.


4. Una domanda di stile. I suoi racconti si snodano come un mosaico. Lei costruisce tante brevi tessere, caratterizzate separatamente da unità di tempo e di luogo per poi riannodarle, facendo salti spazio temporali notevoli. Ha mai provato per lo stesso racconto a cambiare la combinazione delle tessere del mosaico per vedere l’effetto che fa rispetto alla versione che compare su "Dai un bacio a chi vuoi tu"?

No, mai. Durante la stesura dei racconti mi è capitato di cambiare la combinazione dei pezzi o di inserirne di nuovi in cerca dell’effetto desiderato, ma non ho mai "ricostruito" un racconto dopo. Per la storia della geisha ho cambiato i tempi però. La prima versione si serviva del passato remoto e del trapassato per il piano temporale che si opponeva al presente e che è ambientato in Giappone. Per la versione finale ho utilizzato un presente storico che mi sembrava richiamasse meglio l’immobilità dei ricordi della protagonista.


5. Veniamo ad un altro racconto eccezionale per la sua delicatezza "Formiche rosse". Mi ha ricordato il film "Memorie di una Geisha" di Rob Marshall (2005) tratto dall’omonimo romanzo di Arthur Golden. Il suo racconto però è focalizzato sulla infanzia e l’adolescenza di questa bambina Sadako abbandonata in strada dal padre. La narrazione si svolge su due piani temporali, uno per le vicende della piccola Sadako e l’altra per quelle di Sadako adulta. I piani temporali si incontreranno alla fine. Il filo conduttore della parte di racconto dedicata a questa casa di appuntamenti giapponese sono i cinque atti d’amore che la "signora della casa" insegna alle sue giovani ospiti, l’arte che le giovani geishe devono imparare a indossare come un abito di lavoro: la pazienza è il primo, la sottomissione è il terzo, il silenzio è il quarto. E il secondo e il quinto atto d’amore quali sono?

Il secondo atto d’amore (di quello che la Signora chiama "amore") Sadako lo impara prendendosi cura di un cucciolo che le viene portato via dopo alcuni mesi. È la dedizione senza il possesso. L’ultimo atto d’amore è la fiducia: l’affidarsi all’ospite credendo che non le farà del male o che il male che le farà sarà sopportabile.


6. Nello stesso racconto emerge la figura di una vecchia inserviente della casa, una specie di tata delle giovanissime ospiti. Anche lei insegna qualcosa ed è una cosa importante che farà la differenza fra l’esperienza di mizuage, il primo rapporto sessuale così come la vivranno con gli ospiti della casa rossa separatamente Sadako e la sua amica Ayame, alla quale la vecchia non l’ha insegnata. Stiamo parlando della "canzone della sposa", un antichissimo canto che consente di dislocare la mente lontano dal corpo che sta soffrendo. Serve per evitare le sofferenze del mizuage. Alla fine della storia però Sadako lo sentirà riempire tutta la stanza in una situazione ben diversa, in un altro luogo e in un menage familiare stabile. Qual è il senso della conclusione del racconto?

Esattamente come per il protagonista di "Dai un bacio a chi vuoi tu", Sadako è imprigionata in una situazione da cui non può scappare. Cresciuta nella Casa Rossa, educata al servizio perenne dell’uomo a cui si accompagna, anche quando potrebbe liberarsi da questi schemi costrittivi, trasferitasi in Italia, amata da un marito dolce e rispettoso, non può fare a meno di rivivere il suo passato nel presente. La canzone della sposa che sente a tradimento in un momento di abbandono e di intimità con l’uomo che ama, le ricorda che non è libera affatto di amare e di scegliere la vita che vuole perché il suo passato la definisce ancora e quello che sembra un fare l’amore libero, naturale, è in realtà uno degli atti d’amore che ha imparato fin da piccola destinato a suo marito come se fosse uno dei suoi vecchi accompagnatori.


7. Il racconto che apre la raccolta ci parla di Napoli, delle sue zone degradate, dei piccoli camorristi e spacciatori. E di una insolita cinica e fredda vendetta, da parte di chi non ti saresti mai aspettato. La violenza passa di mano in mano, si materializza perfino in un assassinio a sangue freddo che poi viene camuffato da incidente. I protagonisti sono degli adolescenti. Sembra che non si possa guarire da questa voglia di uccidere, che sia un testimone da passare in un immaginaria staffetta criminale. O no? Quale può essere la prospettiva per un quindicenne delle banlieu di casa nostra?

La voglia di ribellarsi a un sopruso continuo credo sia insita naturalmente in chi è costretto a subire una violenza difficile da descrivere e che tanto si insinua nella vita quotidianadi molti. Il degrado di cui parlo è frutto di una politica colpevole che ha abbandonato a se stessi alcuni strati della popolazione già colpiti da disoccupazione e povertà, lasciandoli in balia della criminalità organizzata. La risposta non può che essere politica: è l’impegno a dare una prospettiva a quel quindicenne che viene cresciuto nell’illegalità e nella sopraffazione. Istruzione, lavoro, presenza dello Stato sul territorio dovrebbero essere la norma, non l’eccezione. Nel racconto l’unico adulto che si accorge di quanto è successo tenta una rieducazione cinica tesa a sventare la violenza: si uccide un criminale, ne arriva un altro. La singola violenza è inutile. La resistenza di tutti è necessaria.


8. Ci vuol parlare in anteprima del suo ultimo lavoro "L’iguana non vuole", di come nasce e di quali sono le differenze di approccio e l’evoluzione rispetto a "Dai un bacio a chi vuoi tu", che ricordiamo è il libro vincitore del Premio Calvino 2007?

Prima di arrivare a "L’iguana non vuole" ho sentito il bisogno di scrivere un altro libro di racconti, che fosse più personale e legato ancora alla città di Napoli che stavo lasciando per andare a Torino. Dopo "Napoli ore 11", ho cominciato a riflettere su un possibile romanzo e a tracciarne la trama. Mentre lo facevo però, la mia esperienza come insegnante di sostegno mi ha portato a scontrarmi con una realtà del tutto nuova, quella dei disabili nella scuola, un mondo poco conosciuto e che stava attraversando una crisi che rispecchiava in pieno quella del Paese. Ho dovuto lasciar perdere tutto il resto: raccontare la storia di Emma che si scontra contro l’ignoranza, la cattiveria e l’instabilità della nuova Italia, e quella di Andrea che costruisce la sua iguana di cartapesta, che vive nel suo mondo incomprensibile e spaventoso, mi è sembrato importante. È stato più difficile e doloroso di ogni racconto abbia mai scritto. Ora so che ne valeva la pena.

© Intervista realizzata da Stefano di Stasio il 30 Dicembre 2011 e 2 Gennaio 2012. Pubblicata su Parole e Fotografie il 2 Gennaio 2012


SCHEDA DEL LIBRO
Libro vincitore del Premio Calvino 2007

Titolo: Dai un bacio a chi vuoi tu
Autore: Giusi Marchetta
Editore: Terre Di Mezzo
Data di Pubblicazione: Marzo 2008
Collana: Narrativa
ISBN: 9788861890336
Pagine: 173
Formato - Prezzo: Brossura - 7,00 Euro