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lunedì 2 gennaio 2012

Intervista a Giusi Marchetta, autrice di “Dai un bacio a chi vuoi tu”, Premio Calvino 2007

a cura di Stefano di Stasio





Dalla quarta di copertina:

Non sono bravo nelle cose in cui ci vuole fortuna. Mai trovato un soldo per strada, parcheggio nell’ora di punta, la taglia giusta durante i saldi, la sorpresa decente nell’ovetto Kinder Sorpresa. Se compro un biglietto della lotteria, neanche controllo se è quello vincente oppure no. Controlla mia madre, poi in genere dice: "Quando smetti di comprarti ‘sti cosi?


1. Buongiorno Giusi. Comincerei dal racconto che dà il nome alla raccolta "Dai un bacio a chi vuoi tu". La filastrocca è cantata da un bambino, con le sue parole:
"…Gianni, che avrà avuto cinque anni e già i coglioni li sapeva rompere bene, da vero professionista…"
"…Ho afferrato Gianni, il rompicoglioni, l’ho tirato via. Per fare un po’ di scena l’ho pure preso in braccio. Lui ha cominciato a piangere e a sbracciarsi, l’ingrato, allora io l’ho stretto più forte e l’ho tenuto fermo, ed è allora che è successo, e l’ho sentita come una ferita, uno strappo. Una fitta, la prima proprio qui, in mezzo al petto…"
Sembra di cominciare la narrazione sulle scene di apertura del film "Certi bambini" di Andrea e Antonio Frazzi (2004) per sospenderla su un inedito primo piano di un aspirante pedofilo turbato nell’intimità dai primi sintomi di devianza. Ci vuol descrivere come nasce questa singolare narrazione?

La storia del giovane pedofilo, o meglio del ragazzo ossessionato dall’idea di essere attratto dai bambini, nasce da un fatto di cronaca risalente a qualche anno prima della stesura del racconto. Una testimone in un caso di pedofilia è stata uccisa davanti casa sua e il processo che riguardava una rete di pedofili insospettabili è stato archiviato per mancanza di prove. In un’intervista le maestre del figlio della vittima si auguravano di poter andare avanti come se nulla fosse successo. Non credevo alle mie orecchie: qualcosa era successo, anzi molte e brutte cose. Far finta di niente non avrebbe cancellato nulla. Non avrebbe guarito nessuno. Così ho cominciato a riflettere su quello che ci piove addosso all’improvviso, i demoni che non riusciamo a combattere e che cambiano tutto. Mi è sembrato interessante raccontare la storia partendo da un carnefice che è anche vittima. Non il cattivo della situazione, ma l’essere umano in balia del suo male.


2. La figura maschile dello stesso racconto, l’aspirante pedofilo di cui dicevamo prima, è senza dubbio un personaggio carico di empatia. È intelligente, colto, "il più fantasioso della classe", è fondamentalmente onesto, legge "Altrimenti che essere" del filosofo ebreo lituano Emmanuel Lévinas, guarda con distacco i film porno e la letteratura erotica. Insomma, è l’orco del paradiso o che cosa?

La rappresentazione del pedofilo viscido, adescatore, schiavo delle sue pulsioni non mi interessava. L’immagine dell’orco, per dire, è facile da odiare. Il mio protagonista è un universitario come molti, vive in una città poco stimolante, cerca di condurre una vita normale. Non è molto dissimile da me o da chiunque altro. È questo il punto: perché dovrebbe esserlo? Le nostre tendenze, le ossessioni, le perversioni, sono innestate in noi, si legano al nostro essere onesti, colti, simpatici. Siamo umani, niente di umano ci è estraneo: né la tensione al bene collettivo, né l’istinto a soddisfare i nostri desideri. Questo non giustifica ovviamente l’atto criminoso che danneggia gli altri e che è frutto di una scelta. Questo ragazzo prova o si convince di provare dei desideri che lo mettono in crisi e quindi ne soffre, si tormenta. L’empatia che sentiamo per lui deriva proprio da questa sofferenza che ci affratella, la pena che proviamo nel constatare che a volte siamo incapaci di sottrarci ai nostri inferni personali.


3. In testa al suo recente libro "L’iguana non vuole" lei cita una frase di Bertolt Brecht:
"Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati".
Lei si è seduta in "Dai un bacio a chi vuoi tu" dalla parte delle "vittime" in un certo senso, di quelli che subiscono l’ambiente, i condizionamenti sociali e le angosce più crude, la prepotenza, l’abbandono, la devianza, anche se poi emerge i quasi tutti i personaggi la voglia di riscatto e di rivalsa su quanto li ha oppressi. Una domanda difficile: che cosa ritiene siano oggi i fattori sociali più oppressivi e condizionanti nella vita di un uomo o di una donna in Italia?

È veramente difficile dare una risposta che non cambierei domani mattina. Credo però che a fronte di un enorme progresso tecnologico l’Italia continui a fare i conti con i residui di una mentalità chiusa, facile al pregiudizio e a un miope moralismo. Questo vale soprattutto per le donne che si confrontano quotidianamente con il sessismo e/o il paternalismo dei loro colleghi. A farmi paura più di ogni cosa comunque sono i luoghi comuni: sono difficili da scardinare, creano delle gabbie in cui contenere fatti e persone. Probabilmente poi, tra i fattori sociali più condizionanti inserirei la povertà intesa sia in senso economico che culturale: entrambe ci privano di mezzi utili alla comprensione del mondo e alla capacità di rapportarci agli altri in modo più giusto e solidale.


4. Una domanda di stile. I suoi racconti si snodano come un mosaico. Lei costruisce tante brevi tessere, caratterizzate separatamente da unità di tempo e di luogo per poi riannodarle, facendo salti spazio temporali notevoli. Ha mai provato per lo stesso racconto a cambiare la combinazione delle tessere del mosaico per vedere l’effetto che fa rispetto alla versione che compare su "Dai un bacio a chi vuoi tu"?

No, mai. Durante la stesura dei racconti mi è capitato di cambiare la combinazione dei pezzi o di inserirne di nuovi in cerca dell’effetto desiderato, ma non ho mai "ricostruito" un racconto dopo. Per la storia della geisha ho cambiato i tempi però. La prima versione si serviva del passato remoto e del trapassato per il piano temporale che si opponeva al presente e che è ambientato in Giappone. Per la versione finale ho utilizzato un presente storico che mi sembrava richiamasse meglio l’immobilità dei ricordi della protagonista.


5. Veniamo ad un altro racconto eccezionale per la sua delicatezza "Formiche rosse". Mi ha ricordato il film "Memorie di una Geisha" di Rob Marshall (2005) tratto dall’omonimo romanzo di Arthur Golden. Il suo racconto però è focalizzato sulla infanzia e l’adolescenza di questa bambina Sadako abbandonata in strada dal padre. La narrazione si svolge su due piani temporali, uno per le vicende della piccola Sadako e l’altra per quelle di Sadako adulta. I piani temporali si incontreranno alla fine. Il filo conduttore della parte di racconto dedicata a questa casa di appuntamenti giapponese sono i cinque atti d’amore che la "signora della casa" insegna alle sue giovani ospiti, l’arte che le giovani geishe devono imparare a indossare come un abito di lavoro: la pazienza è il primo, la sottomissione è il terzo, il silenzio è il quarto. E il secondo e il quinto atto d’amore quali sono?

Il secondo atto d’amore (di quello che la Signora chiama "amore") Sadako lo impara prendendosi cura di un cucciolo che le viene portato via dopo alcuni mesi. È la dedizione senza il possesso. L’ultimo atto d’amore è la fiducia: l’affidarsi all’ospite credendo che non le farà del male o che il male che le farà sarà sopportabile.


6. Nello stesso racconto emerge la figura di una vecchia inserviente della casa, una specie di tata delle giovanissime ospiti. Anche lei insegna qualcosa ed è una cosa importante che farà la differenza fra l’esperienza di mizuage, il primo rapporto sessuale così come la vivranno con gli ospiti della casa rossa separatamente Sadako e la sua amica Ayame, alla quale la vecchia non l’ha insegnata. Stiamo parlando della "canzone della sposa", un antichissimo canto che consente di dislocare la mente lontano dal corpo che sta soffrendo. Serve per evitare le sofferenze del mizuage. Alla fine della storia però Sadako lo sentirà riempire tutta la stanza in una situazione ben diversa, in un altro luogo e in un menage familiare stabile. Qual è il senso della conclusione del racconto?

Esattamente come per il protagonista di "Dai un bacio a chi vuoi tu", Sadako è imprigionata in una situazione da cui non può scappare. Cresciuta nella Casa Rossa, educata al servizio perenne dell’uomo a cui si accompagna, anche quando potrebbe liberarsi da questi schemi costrittivi, trasferitasi in Italia, amata da un marito dolce e rispettoso, non può fare a meno di rivivere il suo passato nel presente. La canzone della sposa che sente a tradimento in un momento di abbandono e di intimità con l’uomo che ama, le ricorda che non è libera affatto di amare e di scegliere la vita che vuole perché il suo passato la definisce ancora e quello che sembra un fare l’amore libero, naturale, è in realtà uno degli atti d’amore che ha imparato fin da piccola destinato a suo marito come se fosse uno dei suoi vecchi accompagnatori.


7. Il racconto che apre la raccolta ci parla di Napoli, delle sue zone degradate, dei piccoli camorristi e spacciatori. E di una insolita cinica e fredda vendetta, da parte di chi non ti saresti mai aspettato. La violenza passa di mano in mano, si materializza perfino in un assassinio a sangue freddo che poi viene camuffato da incidente. I protagonisti sono degli adolescenti. Sembra che non si possa guarire da questa voglia di uccidere, che sia un testimone da passare in un immaginaria staffetta criminale. O no? Quale può essere la prospettiva per un quindicenne delle banlieu di casa nostra?

La voglia di ribellarsi a un sopruso continuo credo sia insita naturalmente in chi è costretto a subire una violenza difficile da descrivere e che tanto si insinua nella vita quotidianadi molti. Il degrado di cui parlo è frutto di una politica colpevole che ha abbandonato a se stessi alcuni strati della popolazione già colpiti da disoccupazione e povertà, lasciandoli in balia della criminalità organizzata. La risposta non può che essere politica: è l’impegno a dare una prospettiva a quel quindicenne che viene cresciuto nell’illegalità e nella sopraffazione. Istruzione, lavoro, presenza dello Stato sul territorio dovrebbero essere la norma, non l’eccezione. Nel racconto l’unico adulto che si accorge di quanto è successo tenta una rieducazione cinica tesa a sventare la violenza: si uccide un criminale, ne arriva un altro. La singola violenza è inutile. La resistenza di tutti è necessaria.


8. Ci vuol parlare in anteprima del suo ultimo lavoro "L’iguana non vuole", di come nasce e di quali sono le differenze di approccio e l’evoluzione rispetto a "Dai un bacio a chi vuoi tu", che ricordiamo è il libro vincitore del Premio Calvino 2007?

Prima di arrivare a "L’iguana non vuole" ho sentito il bisogno di scrivere un altro libro di racconti, che fosse più personale e legato ancora alla città di Napoli che stavo lasciando per andare a Torino. Dopo "Napoli ore 11", ho cominciato a riflettere su un possibile romanzo e a tracciarne la trama. Mentre lo facevo però, la mia esperienza come insegnante di sostegno mi ha portato a scontrarmi con una realtà del tutto nuova, quella dei disabili nella scuola, un mondo poco conosciuto e che stava attraversando una crisi che rispecchiava in pieno quella del Paese. Ho dovuto lasciar perdere tutto il resto: raccontare la storia di Emma che si scontra contro l’ignoranza, la cattiveria e l’instabilità della nuova Italia, e quella di Andrea che costruisce la sua iguana di cartapesta, che vive nel suo mondo incomprensibile e spaventoso, mi è sembrato importante. È stato più difficile e doloroso di ogni racconto abbia mai scritto. Ora so che ne valeva la pena.

© Intervista realizzata da Stefano di Stasio il 30 Dicembre 2011 e 2 Gennaio 2012. Pubblicata su Parole e Fotografie il 2 Gennaio 2012


SCHEDA DEL LIBRO
Libro vincitore del Premio Calvino 2007

Titolo: Dai un bacio a chi vuoi tu
Autore: Giusi Marchetta
Editore: Terre Di Mezzo
Data di Pubblicazione: Marzo 2008
Collana: Narrativa
ISBN: 9788861890336
Pagine: 173
Formato - Prezzo: Brossura - 7,00 Euro

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