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venerdì 1 aprile 2016

RèG 5. Caporetto 24/10/1917.
Fanti dei Monti Tifatini in trincea.


Testo e foto sono © 2016 Stefano di Stasio


Mi chiamo Umberto D’Assould, sono piemontese, classe 1874, grado Tenente-Colonnello del Regio Esercito dei Savoia, figlio cadetto di una famiglia nobile, va beh, diciamo sicuramente ricca, di Asti. I miei hanno 100 ettari di vigneto e sono stati amici personali del Conte di Cavour fino alla sua morte nel 1861. Mi sono arruolato nell’esercito sabaudo nel 1890, ho velocemente scalato tutti i gradi, diciamo che un po’ mi ha spinto l'amicizia con l'Associazione Agraria e i discendenti dei banchieri De La Rüe, dei quali era amico il Conte, un po’ non ho guardato in faccia a nessuno, specialmente a donne e bambini quando ci ordinavano le rappresaglie.
Chissà perché i miei colleghi più anziani quando si tratta di tagliare con le proprie mani una testa o mozzare una lingua, o infilzare una donna incinta, si fanno mille scrupoli. A me piace il sangue. Li vedi che tremano che soffrono,  per loro morire è una liberazione, alla fine fai del bene. Piuttosto che mandarli nelle galere dove abbiamo mandato i patrioti borbonici del sud, ma che dico i briganti del sud che si sono arresi dopo il 1865.
Poveri pidocchiosi, li abbiamo sistemati bene nella casamatta sotto i monti, sono morti di fame e di freddo. Non sono neanche essere umani questi terroristi: lunghe barbe, puzzano di capra, non hanno mai fatto un bagno in vita loro.
Io personalmente li ho visti nelle immagini a dagherrotipo che ha scattato mio padre, il maresciallo del Regio Esercito Jean-Pierre D’Assould, con un attendente che reggeva quattro picche, ciascuna con la testa infilzata di un brigante morto.

Ma questa è acqua passata. Ora con la grande guerra, tocca sopportarceli di nuovo questi maiali meridionali. Li abbiamo arruolati in blocco anche a 16 anni, mica vogliamo morire noi piemontesi, che vadano loro all’attacco fuori della trincea, sono carne da cannone. Di nuovo, per loro è meglio morire qua, al fronte di Caporetto, che di tubercolosi o fame a casa loro in quegli sperduti villaggi del sud dove nessuno sa leggere e scrivere, gli istruiti sono solo il parroco e il prefetto. Forse il parroco nemmeno, ché Dio non li legge i messaggi scritti, ah, ah, ah. Ma che dio, io sono Dio in questa trincea fangosa e piena di sorci. Comando tutti a bacchetta, scattano come le molle quando passo.
L’altro giorno uno di questi tosi calabresi, con una scheggia di granata che gli aveva squartato l’intestino, mi ha sussurrato mentre crepava: «Comandante, ho paura, non voglio morire», e io a lui: «Coraggio soldato, qui almeno si muore per la Patria, prima di noi piemontesi una patria voi del sud nemmeno ce l’avevate! Che vi avevano fatto credere i Borboni? Che potevate prosperare senza pagare troppe tasse e senza servizio militare obbligatorio? Ricordati che chi non serve il Re del Regno Savoia, allora non serve nemmeno alla Regina? Capito ragazzo? E ora sbrigati a crepare che mi serve la barella e non posso sprecare altre bende! ».

Che porci! Figuratevi che qualche volta non hanno il coraggio di uscire all’assalto dalla trincea per andare contro gli Austriaci, nella terra di nessuno. Eppure li rimpinziamo di grappa a questi qua. Dicono che a loro non piace, che è amara. Vogliono il vino fragola che imbecilli. Come fanno le fragole dalle loro parti a fare il vino, idioti pezzenti!

L’altro giorno uno di loro voleva tornare indietro aveva paura durante l’assalto. Gli ho intimato «Avanti soldato, all’attacco! Savoia! » lui si è messo a piangere e se l’è fatta sotto, là in mezzo ai reticolati. Non andava avanti. Di nuovo gli ho urlato dalla torretta « Avanti, vigliacco! », non si è mosso. Gli ordini del generale Cadorna, mio corregionale, sono chiari, siamo soldati veri e anche Piemontesi. Nel dispaccio stava scritto: «Chiunque si rendesse responsabile di atti di codardia, sia immediatamente passato per le armi dall’ufficiale di picchetto di turno durante l’assalto.».
Così gli ho sparato alle spalle, non se lo aspettava, guardava davanti verso gli Austriaci, pensava di doversi coprire dai colpi solo da quella parte. Vigliacco!
I suoi corregionali mi hanno guardato torvi, ce n’è uno con gli occhi grandi e i capelli biondini, si chiama Stefano di Stasio, classe 1898, viene da giù in Terra di Lavoro, faceva il falegname al suo paese. È colto per essere un meridionale, qualcuno che spia i soldati per me mi ha detto che è un carattere ribelle. Mi ha guardato e da lontano, ha mosso le labbra, guardandomi fosco, ha urlato qualcosa, ho sentito «t’ facimm’ a pell’, om e’ sfaccimm’» ma forse non ho sentito bene, io non li capisco con questo loro dialetto mezzo spagnolo, mezzo francese e mezzo bastardo arabo.

E chi non ci è passato per il meridione. Abbiamo fatto bene noi a mandare quel mercenario da due soldi Garibaldi. Ci ha consegnato il Sud su un piatto d’argento, e grazie! Con tutti i soldi che gli avevamo dato per corrompere gli ufficiali borbonici. Gli inglesi con le loro navi ce li siamo comprati direttamente, prima dello sbarco a Marsala. E via così, abbiamo, giustamente, preso come bottino di guerra l’oro del banco di Sicilia e del banco di Napoli. A noi serve per fare le guerre, avevamo i debiti prima.
Poi c’è sempre qualche altra cosa da sgraffignare, mio padre si è portato un telaio di San Leucio da Caserta. L’abbiamo venduto a un commerciante di stoffe di Como, ci abbiamo guadagnato 500 denari e abbiamo comprato altri 10 ettari di vigna a Cuneo. Tanto a loro, dico a quelli di san Leucio, gli operai del socialismo di borgata di Ferdinando II, a che cosa servono più? Metà li abbiamo ammazzati, le donne le abbiamo stuprate e i giovani li abbiamo deportati in Piemonte nelle risaie.

Ma chissà che ha imprecato quel porco, Stefano da Tuoro, paese alle falde del monte Tifata, nel distretto Terra di Lavoro. Pensa di impressionarmi. A me? Quando torniamo, se è ancora vivo, lo metto in punizione, così non mangia per due giorni, quel villano sottoposto.

Sono passati 4 giorni. Siamo andati di nuovo all’attacco, l’esercito Savoia è in rotta su tutto il fronte sul fiume Isonzo. Abbiamo sbagliato a non far saltare tutti i ponti prima della ritirata. Gli Austriaci hanno sfondato il fronte a Caporetto e ci stanno massacrando. Comunque io, personalmente, non mi curo di quello che sta succedendo e succederà, non nutro più alcun interesse, sofferenza o dolore.

Quel gruppo di schifosi meridionali che venivano dai monti Tifatini e da altri due paesi del picio, Maddaloni e Amorosi, sono andati all’assalto con me ieri. La mitragliatrice austriaca falciava seminando la morte fra loro, si udiva un crepitio incessante di colpi. Ho minacciato i codardi perché andassero incontro alle pallottole. Ho puntato di nuovo il mio revolver contro uno di loro. Mi hanno sparato alle spalle questa volta, quel gruppo di bestie meridionali.
E mentre stavo crepando quello Stefano di Stasio e un altro, soldato Domenico Natale, tutte e due dei paesi sotto i Monti Tifatini di Terra di Lavoro, si sono avvicinati a me; e poi dopo si sono fatti sotto i soldati Antimo Cecere di Maddaloni e Pasquale Pacelli di Amorosi; e tutti e quattro, uno alla volta, mi hanno sputato in faccia, dicendo «mo’ tocc’ a te a’ muri’, si’ na chiavech’ e’ omm’ », o qualcosa del genere, io non li capivo.



® riproduzione riservata. Testo e foto sono © 2016 Stefano di Stasio. La riproduzione, anche parziale, deve essere autorizzata per iscritto dall’autore




Immagine del revolver modello 1889 tipo B in dotazione agli ufficiali del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale. Tratto dal sito:
http://www.studirisorgimentali.org/ARMI%20MILITARI%20IN%20USO%20NEL%20REGNO%20D'ITALIA.htm


...e il destino guidò la mano (tremola) di Paolo sull'infido mouse, facendogli ritrovare questo bel documento che giro volentieri ai lettori di PeF... n.d.r. Stefano di Stasio

http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24735#more-24735 


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