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sabato 26 marzo 2016

RèG 4. Il DOTTOR ZECCA




Testo e foto sono © 2011 Stefano di Stasio

“Dott. Zecca il suo caffè è pronto, amaro come sempre” esordì il barista con velato sarcasmo.
Amaro - pensò Augusto Zecca, classe 1959 – che c’è da ridere ? Piccolo sgorbio deficiente. Sono tutti uguali questi sottoposti. Vedrai, vedrai che cosa ti combinerò, conosco il tuo nome. E qui fece una smorfia, torcendo il mento sul lato sinistro e digrignando i denti. Gli veniva spontanea ogni qual volta si sentiva particolarmente malvagio. Bevve il caffè pensando al lavoro che lo aspettava in Ufficio. Agenzia delle Entrate di Alatri, provincia di Frosinone. Da poco aveva ricevuto una promozione, ma i suoi superiori erano stati chiari. L’ordine del Ministero era: torchiare, spremere, distillare quanti più soldi possibile ai contribuenti. E, soprattutto che fossero, contribuenti onesti, meglio se impiegati statali, di quelli che fanno il 730 ogni anno per recuperare i cento Euro in detrazione al 19 percento delle spese mediche. Nel briefing che avevano avuto s’era detto più volte. Lasciate che recuperino i 100 euro, i pezzenti. Poi, mandate cartelle di mille euro! I pezzenti sono terrorizzati dai soldi che non hanno, si annebbierà loro la vista e la mente quando apriranno la busta per leggere la cartella esattoriale. Non saranno in grado di contestare e verranno in ginocchio per supplicarvi di pagare. Tutto chiaro.
Augusto Zecca era ora dietro alla sua scrivania. Alzò la cornetta del telefono e chiamò la sua collaboratrice, la signora Evelina Cantelle, una quarantenne di bella presenza.
“Buongiorno Dottore, da chi cominciamo?”.
Zecca era superstizioso. Si era procurato un barattolo abbastanza capiente. Aveva ritagliato dei pezzetti di carta, di uguale grandezza. Su ognuno aveva scritto in bella grafia una lettera dell’alfabeto. Poi li aveva ripiegati e infilati nel barattolo. Ogni mattina amava ripetere lo stesso cerimoniale. Lo aiutava a rivestire il suo lavoro di un alone di santità. Si sentiva un officiante religioso, un prete dello strozzinaggio fiscale.
“Estragga lei, è il suo lavoro!” esclamò mentre pensava. Povera oca, fai di tutto per dimostrarti servile ma non è con questo che otterrai il massimo punteggio da me nelle note informative del prossimo concorso interno. Mi serve altro! Dovrai aiutarmi a estorcere soldi ai contribuenti, quello sarà il tuo vero banco di prova. E poi, se proprio vuoi il massimo, dovrai essere carina con me. Cavolo, non sono in politica ma potrò pure estorcere ad una mia collaboratrice una prestazione sessuale di tanto in tanto, magari poi le regalo dei fiori. Certo non racconterò il fatto in giro, inventandomi barzellette che non fanno ridere nessuno . Torse il mento, compiacendosi con se stesso.
Evelina arrossì, quasi indovinando i torbidi pensieri del suo capo, ma fece finta di niente. Allungò la sua mano per prendere il barattolo sulla scrivania. Zecca seguì il movimento della donna. Ne osservò le dita, lunghe e affusolate, e lo smalto bianco con cui si era curata le unghie. Poi lo sguardo corse alla scollatura della donna, generosa come sempre. Si sorprese a emettere bassi muggiti di desiderio, che però represse alla svelta.
«Troppo rischioso essere esplicito.», pensò, «non si sa mai: con questi telefonini da agente segreto potrebbe registrare tutto e denunciarmi per stalking.».
La donna estrasse un bigliettino e glielo consegnò. Lettera “M”. Bene!
“Può andare ora!” disse alla donna nel licenziarla bruscamente.
Incollò i suoi occhi stretti e lunghi, nascosti da occhiali spessi, allo schermo del suo computer. Iniziava la sua caccia quotidiana. Cominciò a frugare fra i contribuenti di Alatri il cui cognome iniziava con la lettera M.
Marchioni, no non va, è un imprenditore
Marotta, per carità, è il cugino del sindaco.
Monicelli, fa l’architetto, non male, vediamo ancora
Morcone,  impiegato statale, lavora a Roma. Ottimo, è lui!
Chiamò la signora Cantelle con il telefono interno e le ordinò:
“Vada in archivio e mi porti le pratiche di Morcone Lazzaro degli ultimi quattro anni”.
Dopo circa dieci minuti, i modelli 730 di Morcone Lazzaro erano sulla sua scrivania. Aprì un tiretto, tirò fuori una cartella di cartone con i lembi nuova di zecca e vi scrisse sopra con un pennerello rosso “Recupero imposta non versata”. Il più era fatto, si trattava ora di curare i dettagli. Cominciò a osservare il modello 730 per l’anno 2007. Nelle ultime pagine, vide la scritta “Compilato dal CAAF della CGIL di Frosinone”. Ah, ah, ah! Così pensavano di impressionarlo! Si accese di furia, figuriamoci se non c’erano margini di irregolarità per aprire una nuova cartella. Il CAAF non contava un tubo, non poteva intervenire in un regolare, scrupoloso e spietato processo di verifica 31 ter di un rispettoso, zelante e puntiglioso funzionario dell’Agenzia delle Entrate.
 “Ora ti sistemo io, Morcone!” gli scappò di dire con aria di sfida. Poi continuò la verifica.
Allora. Al rigo E1 era riportato che Morcone aveva speso 2532 euro di spese sanitarie. Il primo, eccolo. Pensò: Egregio signor Morcone il massimo importo ammesso come spesa sanitaria è 2291 euro. Se ha speso di più per curarsi si arrangi, e soprattutto paghi. Il mento tirò il viso leggermente a sinistra.
Procedette. Al rigo 13 del prospetto di liquidazione era riportato che Morcone aveva diritto alla detrazione per figlio a carico. Vediamo. Stato civile “divorziato”. Bene, controlliamo il codice fiscale della ex-moglie. Ah, ah. Eccolo, la tizia ha fatto regolare denuncia dei redditi nel 2007 e ha chiesto anche lei la detrazione per il figlio a carico. Morcone, due a zero per me! Si pettinò i pensieri mentre si congratulava con se stesso. Sapeva benissimo che Morcone certamente versava un assegno mensile di mantenimento per il figlio, come sapeva bene che questo assegno non era detraibile dal reddito. In quel momento tutti i suoi più turpi desideri trovavano sfogo. Nel 2007 Morcone aveva già versato alla ex-moglie per il mantenimento del figlio forse quattro cinquemila euro e, ora, avrebbe dovuto pagare interamente le tasse su questa cifra che era transitata sul suo conto in banca più o meno come una farfalla che svolazzava di fiore in fiore. Un figlio a carico del padre per l’esborso e a carico della madre per la detrazione. Quel pensiero deliziò a tal punto Zecca che cominciò a fischiettare, sfregandosi le mani. Gli piaceva fare delle sorprese terrificanti al contribuente. L’irrazionale era la sorpresa più efficace. Compilò al computer la cartella con gli importi per differenza che erano dovuti. Fece la somma. Cinquecentotrentasei euro. Lazzaro Morcone dovrà scucirli tutti. Preparò il modulo F24 predeterminato con l’importo da pagare e il numero della cartella. Vedeva già il malcapitato che si avviava sconsolato all’Ufficio Postale e versava quella somma che aveva pensato di poter impegnare in altro modo, che so, per comprarsi una macchina fotografica o un computer nuovo. Un’idea si affacciò alla sua mente. E se Morcone i soldi non li avesse avuti disponibili? Cavoli suoi. Sarebbe scattato il pignoramento della macchina, del motorino o di qualche altra cosa. Al massimo glieli avrebbero sottratti direttamente in busta paga. Era questo che rendeva gli impiegati statali prede così attraenti. E se Morcone fosse venuto a presentare una domanda di rateizzo? Peggio per lui, le disposizioni erano chiare. Era lui, il dottor Augusto Zecca, ad essere responsabile dell’intero procedimento esattivo, spettava a lui concedere o non concedere il rateizzo. Immaginò Morcone seduto alla sua scrivania che lo supplicava di dividere l’importo in quattro rate. Immaginò la sua subdola espressione compassata, il suo sguardo falsamente dispiaciuto e solidale, mentre nell’intimo godeva estasiato dell’umiliazione che era riuscito a infliggere al poveretto. La capisco, signor Morcone, anche io ho una famiglia – si figurava di dire, mentre pensava che solo un pazzo oggi in Italia poteva contrarre un matrimonio e solo un pazzo spostato poteva permettersi il lusso di avere dei figli. Se poi il pazzo era anche divorziato, beh allora, non era più nemmeno un uomo. Era carne fresca da macellare, tutte le leggi l’avrebbero permesso. Tanto poi si sarebbe detto che così finisce un uomo che divorzia, è il castigo di Dio.
Alzò la cornetta e richiamò la signora Cantelle.
“Signora, mandi questa al protocollo e poi al servizio di notifica” sospirò soddisfatto della prima vittima della giornata. Poi soggiunse
“Non dorma, estragga un’altra lettera!”.

                                                 Valle di Kathmandu - Nepal. Foto di Stefano di Stasio (1993)

® riproduzione riservata. Testo e foto sono © 2011 Stefano di Stasio. La riproduzione, anche parziale, deve essere autorizzata per iscritto dall’autore 

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